e “costringendo” la nostra affezione. Lo spettatore non può fare a meno di indignarsi di fronte all’incomprensione del mondo adulto, alla sua incapacità di amare un ragazzino vispo e intelligente; non può fare a meno di provar tenerezza ritrovandolo a sonnecchiare in una tipografia abbandonata (il Doinel adulto dell'ulti-

 
 
  mo film del ciclo lavorerà proprio in una tipografia e avrà scritto un libro sulla sua vita) o a rubare una bottiglia di latte per la troppa fame. Antoine Doinel diventa il simbolo di un’infanzia tradita, della crudeltà di una maturità cinica che schiaccia la curiosità infantile a cui Truffaut cerca di dar voce. Il regista, infatti, all’epoca dell’uscita del film lamentava la mancanza di opere che parlassero dei bambini, dei loro sentimenti, delle loro passioni. I suoi due unici riferime-
 
 
nti durante la costruzione della storia erano stati Zero in Condotta di Jean Vigo e Germania Anno Zero del tanto amato Rossellini (Antoine che gira solitario e sofferente per la città ricorda vagamente l’opera del regista italiano che, però, ha un’atmosfera più cupa e tragica). Questi sono gli unici due film che secondo il regista francese erano stati capaci di cogliere il mondo infantile, di rappresentarlo senza artifici. Dopo 48 anni dal successo de "I 400 colpi" il cinema mondiale ha visto moltiplicarsi le storie sui bambini, spesso molto belli e verosimiglianti. Tuttavia, dobbiamo dire che il film di Truffaut conserva inalterato il suo fascino perché ha messo perfettamente in forma l’inevitabile trauma che il mondo infantile subisce al contatto col mondo adulto. Il monello che diventa tale in quanto non capito, non ascoltato in una società che esige una produttività immediata, si fonde completamente col personaggio di Antoine Doinel facendo de "I 400 colpi" un archetipo della nostra civiltà cinematografica. Nessun film meglio di questo ci porta a “compatire” la solitudine del pre-adolescente che cerca di difendere i suoi sogni dalla cruda realtà. Mai come dopo aver visto questo film desideriamo con tutta forza un mondo a misura di enfant o perlomeno la soppressione istantanea del tragico passaggio al mondo adulto ma, soprattutto, speriamo ardentemente in un mondo in cui qualsiasi bambino possa riavere quel calor umano dal quale è stato strappato (della fase pre-parto). "I 400 colpi", premiato al festival di Cannes e esaltato dai Cahiers du Cinéma, è un vero e proprio atto d’amore al cinema, alla vita – che in Truffaut, come abbiamo già visto, coincidono – e, soprattutto, l’affermazione forte e originale di un grande regista. Il film esce nel ‘59 e subito dopo, nel ‘60, ci sarà un altro esordio importante: A Bout de Souffle di Jean-Luc Godard (sceneggiato dallo stesso Truffaut). Entrambi i film finiscono con due lunghi carrelli che inseguono i protagonisti: nel primo Antoine Doinel che scappa dal riformatorio e corre fino al mare che non aveva mai visto mentre nel secondo è Michel Poiccard (Jean-Paul Belmondo) che, dopo esser stato colpito a morte dalla polizia, scappa fino ad accasciarsi sull’asfalto. "I 400 colpi" si conceda con lo sguardo intenso di Antoine rivolto alla cinepresa (che ricorda Monica e il desiderio di Bergman) come a prometterci che lo rivedremo sperando in un futuro più raggiante; più amaro il finale del film di Godard dove il ladro-gentiluomo Michel muore (significativo il fatto che il finale è stato cambiato da Godard - nella sceneggiatura di Truffaut il protagonista si salvava - ; prefigurazione della rottura post-68?) dopo esser stato tradito dalla donna che ama. È la nascita di due importanti autori che, come i loro protagonisti, corrono per conquistare un posto nel tempio del Cinema. È la nascita della Nouvelle Vague. E I 400 colpi è il primo di una lunga serie di capolavori.

Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI.
(di Delio Colangelo )


 
 
Riepilogo
 
  - Rosemary's Baby
- M. Il mostro di Dusseldorf
- Apocalypse Now
- Scarface
- Psyco
- L'Atalante
- I Pugni in tasca
 

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