ROSEMARY'S BABY  
  Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi CAPOLAVORI del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per capire se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno presi in esame solo opere che all'epoca venivano considerati CAPOLAVORI per capire, analizzando il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere, circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali o, ETERNI anche OGGI e DOMANI.  
 

Capolavoro indiscusso del cinema mondiale, massima espressione artistica di Polanski (insieme a Chinatown, che è del 1974), Rosemary’s Baby è il quinto lungometraggio del regista polacco che lo consacrerà sull’altare dei Maestri. Già famoso per Il coltello nell’acqua, Repulsion e Cul de Sac, Polanski, ormai americano di adozione, si apprestò nel 1968 a trarre, dal

 
  romanzo omonimo di Ira Levin, un film onirico e “satanico”. Rosemary’s Baby per la sua particolare costruzione ed unicità difficilmente si è lasciata chiudere nella definizione dei generi. Film horror, ma senza sangue; thriller, ma la tensione spesso innescata da futili particolari non si sa mai se porterà ad una svolta (come nei film di Hitchcock) o si risolverà solo nell’isteria della protagonista. È proprio questa sua dimensione ibrida, questo suo giocare spostando i limiti del genere che ne fanno un grande film, un’opera immortale. Essendo stato realizzato nel '68, in piena esplosione della rivolta giovanile, si è spesso tentato di interpretare il film in chiave marxista, vedendo nei coniugi Castevet l’espressione di una borghesia malvagia e diabolica. Rosemary’s Baby diventerebbe così solo superficialmente una storia di satanismo mentre, ad una analisi più profonda, rivelerebbe una potente critica sociale. Ovviamente, tale interpretazione appare limitante perché, aldilà quali fosse-  
 
ro le intenzioni dell’artista, il film non si apprezza certo per la sua opposizione al sistema che anzi, nel caso ci fosse, sarebbe ben poca cosa. L’originalità del film sta invece, come abbiamo già accennato, nel suo essere fino alla fine tragicamente in bilico tra una storia di satanismo e una commedia borghese e ciò innesca nello spettatore un dubbio che diventerà il suo compagno di visione e che sarà sciolto solo alla fine del film (ma lo sarà davvero?). La storia  
 
  narra di una coppia di giovani innamorati, anzi, ancora prima è la storia di un edificio: The Bramford. Tale edificio, che in realtà è il Dakota Building di Manhattan dove visse e fu ucciso John Lennon, dalla fine del secolo XIX fu teatro di alcuni fatti particolarmente sanguinosi e cruenti: le sorelle Trench che mangiavano bambini, Adrian Marcato che vantava rapporti con Satana e rischiò il linciaggio. Polanski ci introduce alla storia, che avverrà all’interno del Bramford, tramite una lunga panoramica sulle case di Manhattan (che ricorda vagamente l’inizio di Psycho) fino a scorgere l’edificio co-protagonista della storia. La musica di Komeda, allo stesso tempo dolce e inquietante proprio come sarà il film, ci conduce sulla “scena del delitto”. L’accompagnamento vocale è quasi una lallazione infantile, come a volerci anticipare che al centro della macabra vicenda ci sarà la nascita di un bambino. Quel baby di Rosemary sarà il centro nevralgico della storia, il punto di intersezione tra due possibili linee di lettura: il satanismo, il mostruoso riprodursi del male e la crisi introspettiva di una donna incinta. Che sia caduta in qualcosa di molto più grande e imperscrutabile o afflitta dalle solite noie della gravidanza che diventano macigni insopportabili nella persona isterica, il nostro punto di riferimento rimarrà, per tutto il film, Rosemary. È attraverso i suoi grandi e celesti occhi che noi spettatori osserviamo cosa succede in quella casa, scrutiamo gli atteggiamenti di Guy, dei pittoreschi signori Cassavet, dell’ostetrico, attanagliati dal dubbio se facciano realmente parte di una setta satanica o se siano tutte delle sciocchezze prodotte da una giovane pazza. Insieme alla protagonista prendiamo coscienza a poco a poco della minaccia che circonda la nascita del bambino, mettiamo insieme i piccoli indizi che Polanski inserisce lungo la narrazione. In questo senso il regista dimostra di aver fatto propria la lezione hitchcockiana secondo la quale...(continua)  

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