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recensione The Way Back] - Gulag siberiano. Dissidenti politici, assassini, innocenti e carnefici, tutti assieme a cercare di mantenersi in vita, con l'idea di scappare prima o poi. Sembra solo un'illusione che aiuta ad andare avanti e, invece, l'occasione si presenta davvero con una bufera di neve. Sarà il clima avverso quindi a dischiudere questa "way back", questa strada verso casa. Ma quale casa? La Mongolia? L'India? Ovunque basta che non ci sia il comunismo. Un cammino lungo, di quasi cinquemila chilometri, quello intrapreso da un gruppo di uomini (russi, americani, polacchi…) che li porterà a patire le piaghe dello sfinimento nelle zone più desolate dell'Asia. Quel clima difficile che aveva aperto loro una via di fuga sarà però anche il loro flagello sfiancante: prima il ghiaccio della tundra artica e poi il caldo insopportabile del Gobi con tempeste di sabbia improvvise e spietate. Il regista australiano Peter Weir, dopo averci portato a solcare i mari con "Master and Commander" ci presenta un altro film storico, questa volta basato sul libro autobiografico di Slawomir Rawicz. Tra gli interpreti figurano Jim Sturgess, Colin Farrell, Saoirse Ronan (altra fuggiasca che si unisce al gruppo) e Ed Harris, forse il migliore in quanto a performance attoriale. "The way back" ci vuole far toccare con mano la sofferenza, l'anelito verso la libertà e la perseveranza di chi non si arrende. Eppure lo fa senza un orizzonte preciso, come se non ci fosse l'urgenza di raccontare, quasi come se Weir fosse distante dal tessuto narrativo. Lontani ci sentiamo anche noi dai personaggi, dalla loro vita e da questo percorso che compiono. Non soffriamo né ci emozioniamo. Sarà forse a causa dei temi prevedibili – ancora una volta lo stesso topos trito del conflitto tra generosità e sopravvivenza – oppure perché i dialoghi sono sovente forzati e artificiosi. Vorremmo tanto che questo titolo fosse all'altezza di "The Truman Show" o di "Picnic a Hanging Rock", film neanche vagamente paragonabili a "The way back". Come se non bastasse, nemmeno tecnicamente la pellicola convince. A parte per il trucco, unica candidatura all'Oscar, né fotografia né montaggio sembrano giovare al film. Basti pensare alla notte nel deserto, dove a tratti si rompe addirittura la finzione filmica a causa della troppa luminosità del set, davvero non realistica. Tra le poche cose degne di nota i paesaggi, fotografati piattamente ma comunque bellissimi, e la componente di testimonianza storica, a cui il film sembra tenere, considerato il finale a tinte didattiche. Prove interpretative senza infamia e senza lode.
(La recensione del film "
The Way Back" è di
Marco Santello)
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