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marley recensione] - Una chioma di dreadlock contorna il viso mulatto dallo sguardo netto e deciso, fisso in un punto preciso del fuori campo, aria pensierosa, mai assente. Il fumo di erba pervade l'inquadratura e una voce risuona nell'aria, assecondando un ritmo nuovo impostato sul tempo debole. Nasceva il reggae e un ragazzo della campagna si consacrava a icona. A più di trent'anni dalla morte, il fascino profetico di Bob Marley continua a irradiarsi in ogni angolo del pianeta. Poster, magliette, muri, zainetti sgualciti di ragazzini a scuola, bandiere e panchine portano incisi volti e parole di questa star carismatica, la cui vita resta avvolta da un alone di mistero. Robert Nesta Marley si fa leggenda ancora prima che cantautore. Il suo mondo viene riportato sullo schermo nel toccante documentario del premio Oscar Kevin Macdonald. Evento unico, Marley uscirà nelle sale cinematografiche il 28 giugno e sarà distribuito in homevideo dalla Feltrinelli Real Cinema, confermando l'interesse del marchio Feltrinelli per il documentario. Presentato alla recente berlinale, Marley accede per la prima volta agli archivi privati della famiglia Marley, gettando una nuova luce sulla vita del cantante, sulla musica che gli pervadeva ogni poro della pelle, sul suo ruolo di vate politico e sociale e sull'impatto globale del suo messaggio e della sua forza, ineguagliabile ancora oggi. Interviste e immagini di repertorio si affastellano sullo schermo nel tentativo di restituire ricordi, sentimenti e pensieri di amici, colleghi e familiari, con uno sguardo inedito che vuole affermare tutta l'autenticità di un mito. Secondo lungometraggio dopo L'ultimo re di Scozia, il documentario ripercorre le tappe di una vita divenuta modello spirituale. Lo spettatore viene condotto nell'universo Marley, catapultato in una terra sconosciuta ai confini del mondo, dove si respira sudore, polvere e violenza. Inneggiando all'amore, al rispetto, all'onore e alla dignità popoli divisi da rivalità e faide, liberi di padroneggiare per le strade nascosti nell'ombra protettiva e artificiale del piombo, si lasciano cullare da una musica che affonda nell'anima. La folla delirante crepita per conquistare anche solo un occhiello di quel palco da cui rimbombano parole di libertà e speranza. Il percorso Marley si delinea seguendo il ritmo della musica e prende forma inquadratura dopo inquadratura: le origini umili, il rastafarianesimo, la lotta contro una miseria che appicca gli occhi dei bambini e costringe a vie di fuga spesso illusorie, degradanti spiragli tra sbarre peggiori di qualsiasi prigione reale. Poi la musica, i Wailers, No woman, no cry, il successo che neanche la terribile malattia riesce ad eclissare. Le emozioni vive di Bunny Livingston, la dolcezza di Rita, le lacrime a stento trattenute di Cedella, i sorrisi Ziggy si mescolano agli aneddoti del fondatore della Island Record Chris Blackwell, del direttore artistico dello storico gruppo Neville Garrick e di persone come Dudley Sibley, addetto alle registrazioni e portiere dello Studio One. Tutto confluisce a dare vita ad una pellicola che pulsa battiti sonori e raccoglie particelle di un mosaico ancora incompleto, riuscendo a trasmettere però quell'energia viva e trascinante che Bob Marley trasudava. Sorella, ho portato il ghetto nei quartieri alti. Brilla in fondo alla persistenza evanescente della pellicola l'eco di una speranza che per un tempo infinitesimale rompe l'illusione e si fa percezione concreta. Allora, sotto l'egida di una chioma fluente e di un sangue misto che non lasciava indifferenti, le mani di avversari politici si intrecciano, gli sguardi di appartenenti a fazioni rivali si incrociano e, in risposta ad un suono viscerale, l'utopia si converte. Un grido di pace trascende barriere geografiche e culturali e si trasmette fervido generazione dopo generazione. Un amore, un cuore risuona per la sala.
(La recensione del film "
Marley" è di
Marta Gasparroni)
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