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LA MIA VITA E' UNO ZOO - RECENSIONE

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recensione di E. Lorenzini

[recensione La mia vita è uno zoo] - Per Benjamin Mee, che scrive di imprese epiche ed estreme, l'avventura più ardua è l'assorbimento di un lutto. Il più profondo, il peggiore: quello per la persona amata. E' la vita quotidiana, fatta di crescite e di armistizi, di rinunce e di ordinarie infelicità, l'esperienza più estrema. E il cinema del "quasi famoso" Cameron Crowe è un'antologia di curve a gomito e di inchiodate, di pezzi persi lungo la strada e di altri rubati alla corsa del tempo. Un cinema imperativo, fatto di aut aut. Come il raptus eticamente corretto di Jerry Maguire, che da rampante procuratore sportivo si riduce a un'apologia dentata e buonista del suo alterg ego Tom Cruise. Come la donna misteriosa che stravolge il continuum spazio-temporale di David Aames in "Vanilla Sky". Come la bara del padre scortata in auto per mezza America dal neo-fallito Drew, che insegue miraggi di certezze nella polvere sollevata dalle sue ruote e nel sorriso di Kirsten Dunst. Nella storia di questo padre vedovo che si reinventa lontano dal chiasso grigio della città e dal fantasma di un matrimonio felice, interpretato con il solito, impassibile talento dal metamorfico Matt Damon, c'è ancora una volta la vita vera intessuta di perdite e di riscatti, la materia duttile dell'essere uomini che Crowe ha sempre maneggiato con maestria. L'escalation positiva dei fatti, che classifica questa storia di amore e di animali come commedia, non priva il film di una sua forza d'urto, di una sua intensità. Ma l'etichetta di favola lacrimosa resta lì, ad ombrare intenzioni ben più nobili. Non sarà forse il lavoro più riuscito del regista di "Quasi famosi" (che ha toccato l'apice proprio nel più autobiografico dei suoi racconti) ma "La mia vita è uno zoo" resta una metafora ben costruita della pazienza, dell'umiltà e del camaleontismo che i casi del destino hanno insegnato al genere umano. (La recensione del film "La mia vita è uno zoo" è di Elisa Lorenzini)
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