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COSMOPOLIS - RECENSIONE
Cosmopolis recensione
Recensione

cosmopolis recensione
[recensione cosmopolis] - Forse non avrete ben chiaro di cosa tratta veramente Cosmopolis finché non lo andrete a vedere, e anche allora non potrete far altro che continuare ad avere le idee piuttosto confuse al riguardo. Tuttavia, basta partire col piede giusto e sapere che quello in cui ci si sta per catapultare è l'universo a se stante di un autore e di un regista molto più che visionario, un universo in cui le regole del gioco possono cambiare a proprio piacimento attorno alla figura del protagonista, siano esse rappresentate dalle febbrili schegge di città che quest'ultimo scorge dal finestrino di una limousine o dai personaggi secondari che entrano ed escono dalla stessa a ogni giro di pista; qui il tempo, ingannevole e complice di tali regole collocate alla rinfusa, ha la pretesa di rintanarsi nel vago sentore di avvicendamento tra mattina, pomeriggio e sera, allungandosi e schiacciandosi come un'iperbole sull'asse dei numerosi dialoghi al centro della storia. David Cronenberg, che quei dialoghi li ha fotocopiati dall'omonima opera cartacea di Don DeLillo e a stento rimaneggiati perché potessero riproporsi, inesorabili, su pellicola, ci sfida a rimanere concentrati sin dalla prima inquadratura rompicapo che prende il volto e il nome del giovanissimo magnate Eric Packer (Robert Pattinson): un fascio di nervi tesi nascosti da giacca e cravatta, orologio al polso e occhiali da sole dietro le cui spesse lenti scure sono prudentemente eclissati un paio di altrettanto inquieti occhi azzurri. Packer questo non lo sa, ma sta per perdere ogni cosa, dall'autista della sua anonima limousine tirata a lucido all'immancabile incertezza di dover prima o poi andare incontro a una morte prematura, dalla moglie irraggiungibile poetessa a ciascun bene materiale in suo possesso – dall'equilibrio di ogni cosa alla consapevolezza che è impossibile trovarci dentro un'anomalia. Pattinson, forte della classica quanto coscienziosa interpretazione dell'ambizioso George Duroy amato da tre differenti donne in Bel Ami, è tutto un protendersi in avanti sul sedile posteriore della vettura come se volesse scrutare in faccia i suoi visitatori per metterne a nudo l'espressione menzognera, quando di contro non fa altro che guardare altrove alla ricerca di una spiegazione alle sue stesse azioni, sperduto e sospeso nel piccolo universo della sua imponente berlina a sua volta dispersa nel mastodontico mare d'auto newyorchese. E New York, là fuori, è tutto un saliscendi di persone. Un vortice di personaggi smaniosi di raccontarsi, ognuno legato al suo passato e al suo presente sebbene al contempo proiettato nel possibile scenario futuro di Packer, ciascuno aggrappato a proprio modo con unghie e denti a quel brandello di racconto finché non ne viene improvvisamente scaraventato via alla maniera di una vecchia molla arrugginita. Juliette Binoche, Samantha Morton e Paul Giamatti dirigono l'ipnotico e inquietante carosello di non protagonisti mescolandosi con sprezzante maestria alla piccola folla di abitanti della cosmopoli alternativa che si viene così a creare. E se si pensa che il gioco ha inizio perché Packer s'è svegliato con l'urgenza di «aggiustare il taglio» dal barbiere più lontano della città, si può ben capire come diviene per lui possibile affrontare paure e personali deliri nell'arco di un'intera giornata. Una giornata alla fine della quale, in perfetta armonia con l'incipit, una leggera «asimmetria della prostata» non potrà che autoproclamarsi vessillo della catastrofe imminente. Facile allora comprendere come in un universo del genere si possa gridare al capolavoro o alla schifezza: più difficile, forse, scivolare assoggettati al suo interno e tendere infine all'uomo, al regista che si sacrifica al visionario. (La recensione del film "Cosmopolis" è di Eva Barros Campelli)
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