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PINOCCHIO - RECENSIONE
Pinocchio recensione
Recensione

Pinocchio recensione
[Pinocchio recensione] - Riecco Pinocchio. A dimostrazione che i classici non vanno mai, vengono soltanto: a ondate cicliche, a riprese sicure o singhiozzanti, restaurati o stravolti, seri o faceti. Ma comunque immortali. Anche chi ha storto il naso di fronte alla grafica naif dei lavori di Enzo D'Alò, anche chi non crede alla possibilità di replicare Pinocchio senza appellarsi al colosso disneyano o al capolavoro di Comencini (il tentativo di Benigni, ahimè, fa poca scuola), accarezzerà l'idea di andare al cinema per tuffarsi in un mood conosciuto, per riesumare letture d'infanzia e moniti indimenticati al non dire bugie, pena nasi e orecchie mutanti. La sortita in sala, probabilmente, accontenterà i puristi, quelli a cui piace vedere un disegno schietto, esile, bambinesco nel senso più nobile del termine; e una trama restituita fedelmente alla versione originale del maestro Collodi, ambientata non in Sud Tirolo ma in Toscana, con un Pinocchio meno subdolo e più pasticcione, con il Cane Alidoro più incisivo del Grillo Parlante. Il film di D'Alò, frutto di una gestazione decennale che non ha impedito al regista napoletano di produrre buone pellicole (vedi Momo e La gabbianella e il gatto), sfoggia pregi e difetti di una precisa collocazione artistica: quella più vicina all'anima delle storie. Se la grafica di Pinocchio non è roboante come quella dei mostri sacri di casa Disney-Pixar, è pur vero che evoca meglio la semplicità della trama e della morale. Se i dialoghi parafrasano il romanzo e non hanno la cadenza sentenziosa dell'originale disneyano, tanto meglio per i nostalgici delle favole della buonanotte. Tuttavia, è inutile negare che anni di capolavori ipercinetici e spettacolari sfornati da quella macchina macinasogni che è Hollywood hanno viziato il nostro immaginario. E una pellicola "povera" come quella di D'Alò perde giocoforza con quel bailamme coloratissimo e fitto di sottotesti che è il cinema per-ragazzi-e-non-solo prodotto Oltreoceano. La semplicità è il grimaldello con cui il neopadre di Pinocchio tenta di scardinare ore e ore di cartoon all'avanguardia. E, almeno in parte, D'Alò ci riesce. Punta di diamante del suo lavoro è la costruzione del personaggio di Geppetto, descritto prima come un bambino creativo e poi come un adulto che non ha mai smesso di sognare, la cui capacità di bucare le apparenze gli permette di scoprire un figlio in un ciocco di legno. E' dunque l'invito a un uso costante e coraggioso della fantasia il fil rouge che traina la storia, che spiega le birichinate di Pinocchio, la sua amicizia (qui vissuta a livello paritario, senza echi materni) con la Fata Turchina, la sua fuga tra i balocchi. Sul piano tecnico, il film pecca nell'alternare, in modo inconsulto, la rapidità del movimento nelle sequenze dinamiche agli stalli visionari, pittorici, che ospitano le belle canzoni di Lucio Dalla. La leggerezza è difficile da maneggiare, tanto più se si cerca di sposarla allo spauracchio degli effetti speciali. D'Alò si incaglia qui e là, pretendendo un ritorno alle origini dell'animazione senza rinunciare del tutto alle conquiste più recenti della grafica. Il suo Pinocchio, che occhieggia molto all'omologo di Comencini, ha però un grande merito: è una creatura tutta italiana. Nella firma, nei caratteri e negli omaggi ai nomi che lo hanno reso famoso. (La recensione del film "Pinocchio" è di Elisa Lorenzini)
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