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IN DARKNESS - RECENSIONE
In Darkness recensione
Recensione

In Darkness recensione
[In Darkness recensione] - La prima cosa che colpisce di In darkness sono i colori. Una moria di grigi, beige e marroni, spalmata sulle strade e sulle persone come un sudario. Le atmosfere sono allo stesso tempo saturate e prosciugate dalla monocromia, rigettate nell'anonimato spento di una ripresa crepuscolare. Già candidata all'Oscar nell'85 con Raccolto amaro, la regista polacca Agnieszka Holland ha replicato l'impresa nel 2012 con questo poetico e straziante omaggio alla memoria degli ebrei perseguitati durate la seconda guerra mondiale: anche se In darkness ha solo sfiorato la statuetta, sacrificandola all'iraniano Una separazione, tanto la cricca dei cinefili quanto il pubblico digiuno ne hanno apprezzato la bellezza e la profondità. Termini abusati nei commenti (giornalistici e non) meritano di essere rispolverati per definire il progetto della Holland: figlia di padre ebreo, la regista ha ambientato la sua cronistoria della mostruosità nazista nella natia Polonia, per le strade di Lvov, attingendo a un bagaglio di suggestioni familiari e annali locali con mano rispettosa e oculata. Tratto dal romanzo In the sewers of Lvov, di Robert Marshall, il film della Holland racconta l'epopea (anti)eroica dell'operaio fognario Leopold Socha, piccolo lestofante avvezzo ai furti, che insieme al "socio" Mundek fa una triste spola tra gli appartamenti che saccheggia e il sottosuolo in cui accumula. E' qui, in un antro buio come la condizione che descrive, che Leopold stana un gruppo di ebrei in fuga. Convintosi ad aiutarli per denaro, il protagonista si scoprirà presto sensibile ad altri richiami: quelli della sua coscienza. Romanzo di formazione personale, spaccato di storia mondiale, pittura espressionista di una tragedia urbana e umana che ha stravolto i destini di più generazioni, In darkness racconta con spietata coerenza il dramma delle vittime e i dilemmi di chi ha scelto di aiutarle: una sofferenza biforcata, che nel film è ben esplicata dall'ambientazione parallela sopra e sotto i marciapedi di Lvov. Discepola della migliore scuola europea per quanto riguarda l'uso narrativo dei colori, la Holland calca il pennello sull'alternanza sgranata tra la luce scialba del mondo emerso, in cui a tratti balena una parvenza o un auspicio di vita normale, e il nero irreversibile del sottosuolo, covo di miserie e tumulo di speranze, in cui le prede si muovono furtive come ombre, epitome di una disumanizzazione che passa per la negazione del diritto a eistere fisicamente. Nel ventennale di Schindler's List, indimenticato capolavoro che ha dato la stura al filone memorialistico, sorgono facilmente i paralleli tra il padre putativo del genere e la bella prova di Agnieszka Holland. Nonostante le dichiarate citazioni visive e narrative, però, In darkness non snatura la propria originalità nell'ossequio facile ad una strapremiata bandiera del cinema spielberghiano. Il profilo kolossal di Schindler's List è qui replicato in versione minimal, senza nomi di spicco o scene clou isolate da pure velleità estetiche. La priorità della Holland è il racconto: non solo la denuncia di orrori troppo spesso annacquati da azzardi revisionistici, ma ancor più il resoconto minuto, quotidiano, della vita braccata, della dignità offesa. Abile narratrice e padrona della sua arte, la Holland ci regala una visione cruda e tenera insieme di una Storia squarciata dalla nostra stessa mano: un quadro violento come certe pitture di Munch o Grosz, che pure, nella sua tetraggine, ha un anelito romantico che fa intravedere la rinasciata, una colata di sole tra le nuvole. (La recensione del film "In Darkness" è di Elisa Lorenzini)
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