recensione di M. Nottoli
[
Il volto di un'altra recensione] - Emulare Almodovar quando Almodovar era Almodovar forse aveva un senso. Emularlo adesso che non riesce più nemmeno lui a trovare la quadra di un film che sia uno, proprio no. Pappi Corsicato invece, il nostro Almodovar casereccio, rimane fedele se a stesso anche nei momenti più difficili, suoi e del maestro. Difficile infatti vedere questo Il volto di un'altra e non pensare al recente La pelle che abito, quantomeno per il tema alla base, la chirurgia estetica. Poi bisogna ammettere che il film di Corsicato imbocca strade del tutto autonome, il che non è detto che sia un bene se le strade finiscono per perdersi in un paesaggio piatto e desolante, causa di una regia svogliata, colpevole di alcune sequenze di rara bruttezza (si veda la scena dell'incidente o l'esibizione da ventriloquo di Tru Tru (Tru Tru?)) e di una sceneggiatura che prende ad ogni bivio o la direzione più comoda, quella fatta di intrighi svelati origliando casualmente dietro una porta o agnizioni spiate dal buco della serratura, o quelle drammaturgicamente meno intriganti, quelle che ti svelano a tre quarti di film il solo arcano in grado di tener desta l'attenzione fino in fondo. Il ricorso insistito al prediletto registro del grottesco, tanto carico quanto scontato, produce solo una serie di siparietti inverosimili che, scollegati da quella realtà che vorrebbero punzecchiare, non fanno che denunciare oltremodo la mancanza di idee e ispirazione (l'idea più originale è il nome Tru Tru!), stessa cosa che dichiarano, nemmeno troppo sottovoce, le numerose simbologie di grana grossissima che punteggiano la pellicola, dal meteorite che si sta schiantando sulla Terra alla contrapposizione tra il mondo dorato della superfice e quello putrido del sottosuolo, dal cesso che vola giù dal cavalcavia sfondando il parabrezza della Chiatti agli stessi cessi che esplodono inondando di merda le vecchie babbione liftate ospiti della clinica, per concludere con la protagonista, starlette televisiva che conduce un programma simil plastik (quello con elena santarelli), che con un gran colpo di genio si chiama Bella (!!!), un carniere di metafore smunte, telefonate e lapalissiane, degne di un temino da scuola elementare. Ed è su quest'ultimo punto che casca di nuovo l'asino che pensa di prendere il mondo della televisione come lente deformante attraverso cui rappresentare la realtà quando è ormai evidente a chiunque, da un lato che i reality hanno già fatto il loro tempo, dall'altro che la televisione stessa come mezzo di comunicazione è ormai da anni in una crisi irreversibile e che, sostituita da ben altri, più moderni e potenti media, non è oggi più rappresentativa di nulla. Se è vero che Quinto potere è del 1976 e la matematica non è un'opinione, allora deriva che Il volto di un'altra è in ritardo di circa 37 anni su quanto l'opinione pubblica ha già ingerito, metabolizzato ed evacuato e intanto che il mondo si interroga sulle nuove frontiere del digitale, esso è ancora attaccato al tubo catodico a prefigurare una realtà inesistente piena di individui a cui frega qualcosa delle sorti della santarelli di turno. In una tale anacronistica farsa fanno una magra figura anche tutti gli interpreti, maneggiati alla stregua di marionette mono espressive. Si salva Laura Chiatti ma solo perché è sempre in scena mezza nuda mentre ad Alessandro Preziosi, pur affrancatosi a fatica dal ruolo di bello e maledetto nelle fiction per massaie, preferiamo comunque Antonio Banderas anche in versione piccolo mugnaio bianco.
(La recensione del film "
Il volto di un'altra" è di
Mirko Nottoli)
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