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DIE HARD UN BUONGIORNO PER MORIRE - RECENSIONE
Die Hard Un buongiorno per morire recensione
Recensione

recensione di M. Nottoli
[Die Hard Un buongiorno per morire recensione] - Eh già, un buon giorno per morire, soprattutto dopo aver visto questo quinto, insulso, urticante, capitolo della saga di Die hard, saga che avrebbe dovuto fermarsi già al n.2 invece hanno fatto pure il 3 e il 4 e non contenti adesso perfino il 5, con McClane ormai pensionato con barba e capelli incanutiti. Siamo al punto di non ritorno perchè se fino alla puntata scorsa si sentiva la necessità quanto meno di giustificare la ricomparsa di McClane all'interno di un contesto radicalmente mutato, ora ogni riflessione pare bandita, la sceneggiatura si può riassumere nella frase "facciamoli secchi questi figli di puttana" e McClane, smarrita definitivamente la filosofia che incarnava il personaggio originale, quella dell'uomo giusto nel posto sbagliato, è diventato una specie di automa dall'espressione perennemente spocchiosa e strafottente al quale si sa che se dai in mano un fucile questi comincia a sparare all'impazzata come un invasato. Non c'è molto di più nel film di John Moore, già reo di Max Payne. Ma mentre là trasformava un bel videogame sparatutto in un brutto film, qui compie il percorso inverso trasformando un (potenziale) bel film in un brutto sparatutto, gettando contemporaneamente i presupposti – come infatti minaccia lo stesso Bruce Willis – per rifilarci nuovi die hard ad libitum. Anche perché, come in Dinasty, i figli di John McClane spuntano alla bisogna. Qui scopriamo che ha un figlio maschio che porta il suo stesso nome, col quale non parla da anni e che per non annoiarsi lavora per la cia. E' per liberarlo che il papino, come già Rocky Balboa prima di lui, vola a Mosca dove non fa in tempo a scendere dall'aereo che, senza un minimo di cognizione di causa, ingaggia un inseguimento con un autoblindo passando tutto il tempo a bofonchiare da solo idiote battute in favore della telecamera. Tra bombe, esplosioni e totale noncuranza verso le leggi base delle fisica si sprecano nell'ordine: siparietti finto affettuosi tra padre e figlio col padre severo che fa il predicozzo e il figlio in piena ribellione adolescenziale che alza gli occhi verso il cielo; siparietti più generalisti sull'annoso conflitto tra il vecchio e il nuovo dove il nuovo sembra meglio ma in realtà, alla fine, è sempre meglio il vecchio; siparietti finto comici sulla contrapposizione linguistica e culturale tra Urss e Usa come ai bei tempi della guerra fredda, con il sovietico cattivo che dice di odiare i cowboys mentre sgranocchia una carota e il cowboy smargiasso che sghignazza sputando sangue; parentesi toccanti col padre che dietro un camion confessa le proprie carenze affettive nei riguardi dei famigliari ad un russo conosciuto 10 minuti prima, mentre scariche di proiettili gli sorvolano la crapa pelata a cui conseguono parentesi altrettanto toccanti col figlio che origlia e si ricrede e chiama finalmente il papà "papà" perché insomma puoi anche essere un grande stronzo ma sei pur sempre sangue del mio sangue! Non ci risparmiano nemmeno una puntatina a Chernobyl, luogo ideale per smuovere i cuori, secondo una scelta di dubbio gusto, immorale per l'uso che si fa della tragedia ma molto di più per la stupidità della trama. Non avendolo ucciso le pallottole si spera solo che McClane non sopravviva alle radiazioni. (La recensione del film "Die Hard Un buongiorno per morire" è di Mirko Nottoli)
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