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CONTRABAND - RECENSIONE
Contraband recensione
Recensione

Contraband recensione
[Contraband recensione] - Everybody loves USA. Questo slogan trasversale, che abbraccia (ahimè) tanta cinematografia internazionale, spiega bene anche l'impresa dell'attore e regista islandese Baltasar Kormákur, che con "Contraband" tenta la traduzione di un linguaggio isolano scarno e concettuale (quello dell'originale "Reykjavik–Rotterdam") nello slang mangereccio e caciarone di Hollywood. L'Europa al cinema, si sa, pecca di tanti eccessi. Se alcuni registi affogano in noiose e prolisse apologie dei propri stilemi, conservando un'impronta personale a discapito della comprensione e del divertimento degli spettatori, altri, tentati dai guadagni facili e dallo sdoganamento planetario del passaggio negli States, rinnegano ogni pretesa di originalità e firmano confezioni anonime e spettacolari da svendere nei circuiti di serie A. Accade così che tante pellicole nate da riflessioni meno scontate di quanto si possa pensare si travestono da blockbuster per sfamare pubblici di poche pretese e finiscono lì, sulla mensola affollata dei déja-vu. Dispiace: perché la vicenda del tranquillo professionista e pater familias Chris Farraday, che, tarato dall'eredità spirituale del padre contrabbandiere, finisce suo malgrado per imbarcarsi sulla stessa chiatta, poteva suggerire interessanti riflessioni sulla convivenza forzata di natura e cultura, i due poli della macchina uomo. E finisce invece nella solita ratatouille di sparatorie, corse in auto ed eroi dal dubbio profilo: una scontata e rumorosa declinazione dell'action movie all'americana. Mark Wahlberg, che ha prestato la sua faccia ambigua e spigolosa a ruoli di altro spessore, sembra qui retrocedere agli esordi da ragazzaccio impenitente di "The Italian Job". La sua prestazione, come tutte le altre, si scioglie nel brodo informe di una carambolata qualunque. Kormákur immola i suoi personaggi alla causa redditizia dello show, lasciando che sbiadiscano nelle loro divise di plastica. Qualcuno informi il caro regista che il ritmo, questo diktat osannato e inseguito a rotta di collo, non basta da solo a fare un buon film. (La recensione del film "Contraband" è di Elisa Lorenzini)
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