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BALLATA DELL'ODIO E DELL'AMORE - RECENSIONE
Ballata dell'odio e dell'amore recensione
Recensione

recensione di F. Tiberi
[Ballata dell'odio e dell'amore recensione] - 1937. Guerra Civile spagnola. Le truppe repubblicane irrompono in un tendone da circo, interrompendo lo spettacolo del Pagliaccio. Arruolato su due piedi, questo si ritrova un machete in mano. Ancora con indosso il suo costume buffo, il Pagliaccio si lancia contro i soldati franchisti, massacrandone da solo un intero plotone. Trentasei anni dopo, Javier (Carlos Areces), figlio del Pagliaccio guerriero ormai morto, sogna di seguire le orme paterne. La tristezza che si porta dentro non gli consente di vestire i panni di un clown allegro, perciò Sergio (Antonio De La Torre) lo ingaggia per affiancarlo come Pagliaccio triste. Javier conosce anche la moglie di Sergio, la bellissima acrobata Natalia (Carolina Bang), e se ne innamora. La ragazza, pur assecondando assecondando le attenzioni del Pagliaccio triste, non abbandonerà mai il marito. Sullo sfondo di una Spagna festosa solo nei cinegiornali, ma di fatto cupa e violenta, Álex De La Iglesia ambienta il suo incubo personale. Entriamo nell'atmosfera bizzarra già con i titoli di testa: immagini del generale Franco, di Carrero Blanco, di "El Lute", di repubblicani trucidati a cui sono accostate quelle di clown grotteschi. Il tutto accompagnato da una traccia musicale adatta ad un plotone da esecuzione. In Ballata dell'odio e dell'amore emerge forte l'elemento perturbante, tipico degli incubi, reso attraverso una regia pulp, molto apprezzata da Tarantino alla 67/a edizione del Festival di Venezia, da cui De La Iglesia tornò in Spagna con il Leone d'Argento per la regia. Alla regia, si affiancano una caratterizzazione grottesca, sia della sceneggiatura che dei personaggi, e il triangolo noir a cui si può ricondurre l'intreccio amoroso che si instaura fra i tre protagonisti. In questo modo De La Iglesia fa rientrare a pieno titolo Ballata dell'odio e dell'amore tra i film di genere, anche se, a dire la verità, è difficile classificare un film così caleidoscopico, in cui l'amore e l'odio si scontrano di continuo e la felicità è una meta inarrivabile in partenza. Il personaggio di Javier rappresenta proprio questo desiderio disatteso: la sua voglia di amare è tanto grande, quanto la sua consapevolezza di non poter essere ricambiato. Vittima di questo contrasto interiore, dei tristi ricordi infantili e dell'aria greve e violenta respirata per più di trent'anni, il Pagliaccio triste diventa più spietato di Sergio. L'odio che nutre nei confronti dei bambini è un modo per esorcizzare l'immensa tristezza che accosta ai suoi ricordi infantili, fatti di morte e disperazione. Anche se in maniera confusa e a tratti autoreferenziale, il regista riesce a raccontare gli effetti di una dittatura su un popolo, mostrandoci le sue ferite, eternamente riaperte da quella straziante ballata cantata da Raphael. Questa è la forza di De La Iglesia. (La recensione del film "Ballata dell'odio e dell'amore" è di Francesca Tiberi)
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