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BABYCALL - RECENSIONE
Babycall recensione
Recensione

Babycall recensione
[Babycall recensione] - La "donna più odiata dagli uomini", Noomi Rapace torna in sala al termine di questa estate tremendamente triste da un punto di vista cinematografico con un thriller low budget in cui la tensione si concentra tutta sul volto della protagonista e sulla sua capacità di trasmettere emozioni. Emozioni che vengono prevalentemente ignorate per lasciare spazio solo alla noia. Questo è Babycall, thriller norvegese diretto da Pal Sletaune, autore di pochi altri film in patria. Un uomo che ha rifiutato la regia di American Beauty (vincitore di 5 Oscar nel 2000) perché riteneva che la sceneggiatura non fosse buona abbastanza. Perciò tenta il salto nel cinema internazionale con questo debole thriller supportato da una delle attrici nordiche più importanti degli ultimi anni. La trama è piuttosto semplice: Noomi Rapace interpreta Anna, una madre che, assieme al figlio, fugge dal marito violento e si affida ai servizi sociali. Vengono collocati in un appartamento di un grande condominio per ricominciare una nuova vita. La donna fa la conoscenza di un uomo e il figlio ricomincia ad andare a scuola diventando amico di un bambino piuttosto strano. Le cose sembrano ricominciare ad andare per il verso giusto fino a quando il babymonitor, acquistato dalla madre per sorvegliare il figlio nella stanza accanto, interferisce con il segnale di un altro apparecchio, trasmettendo delle grida di aiuto. Se la trama può anche minimamente sembrare accattivante o solo momentaneamente coinvolgente, ci dispiace sconfessare il tutto e rivelare che questa pellicola ha un ritmo narrativo prossimo allo zero. Perché se da un lato la trama, come la si può leggere su qualsiasi rivista o sito di cinema, può sembrare l'incipit per una storia piena di tensione e colpi di scena, dall'altro tende ad evitare di spiegare come procede realmente il film. In primo luogo abbiamo la drammatica situazione familiare con il difficile rapporto tra madre e figlio in fuga che occupa decine su decine di minuti senza portare ad una strada ben precisa. In secondo luogo poi troviamo l'inizio di una nuova vita dei due membri della famiglia in questa località norvegese nella quale stringono amicizie più o meno buone. Infine, in terzo luogo, troviamo il babymonitor e le sue interferenze. Interferenze che vengono considerate saltuariamente, quasi come intervallo di questo dramma familiare a colpetti di thriller, e che conducono il film ad una indagine scarna, banale e priva di interessi per lo spettatore per poi andare a concludere il tutto con il classico twist finale. Niente di quello che il trailer o una qualsiasi locandina pensavano di raccontarci. (La recensione del film "Babycall" è di Giacomo Borgatti)
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