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Argo recensione] - La parola Argo riporta subito alla mente, per chi ama la mitologia greca o per chi l'ha fresca in mente, una vasta serie di personaggi, i più celebri dei quali si possono considerare il fedele cane di Ulisse e la nave che condusse Giasone e gli Argonauti, appunto, alla conquista del vello d'oro. Argo, quindi, è un titolo che facilmente si presta a un'opera di fantascienza: un finto film che dovrà permettere a sei impiegati dell'ambasciata americana in Iran di uscire vivi dal Paese.
Il 16 gennaio 1979 l'ayatollah Khomeini ritorna da un esilio di circa 16 anni in Iran, Paese del quale prende la guida, mentre il precedente scià Mohammad Reza Pahlavi si rifugia negli Stati Uniti. L'ambasciata americana è prevedibilmente assalita dai seguaci di Khomeini, sdegnati per la protezione che gli USA concedono a chi voleva laicizzare il paese e privarli dei propri privilegi, oltre che estromettere la religione dalla guida dello Stato. Argo è tutto quello che succede quando la CIA decide di liberare gli ultimi sei impiegati dell'ambasciata ancora liberi rifugiati in un'altra ambasciata, quella canadese. Ben Affleck, protagonista e regista perfettamente integrato nella macchina narrativa di Hollywood, è Tony Mendez: l'uomo a capo della finta produzione cinematografica canadese. È un modo tutt'altro che discreto per infiltrarsi in una polveriera e rischiare che esploda ancor prima di metterci piede – il modo americano – ma è l'unica possibilità che garantirebbe un successo schiacciante, o una morte miserrima: taceremo il finale per chi non conosce la cronaca, e chi invece la conosce potrà comunque godersi lo spettacolo.
Argo mischia toni comici e tragici giustapponendoli anche bruscamente ma senza perdere credibilità ed equilibrio: in molti casi una scena o una battuta sdrammatizzano una situazione precedente per ricordarci che non siamo in un documentario sul ritorno di Khomeini, ma sul modo in cui l'America ha salvato dei propri figli in pericolo. Il rischio dell'apologia e del trionfalismo, come se fossimo di fronte a Olympia di Leni Riefenstahl, è accolto e non sempre sconfitto. D'altra parte, è proprio quello il fulcro del fim. Nonostante questo difetto di nascita, i 120 minuti di proiezione meritano un'attenzione costante e suscitano molta tensione; molti sorrisi e qualche risata quando il film parla di Hollywood, critico ma sempre narcisista; almeno un bicchiere d'acqua nella lunga sequenza che precede il finale, costruita col metronomo per aumentare il battito cardiaco.
(La recensione del film "
Argo" è di
Paolo Ottomano)
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