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trasfigurata
nella divinità-Luna
(“non voglio
cambiare, altrimenti
quando tornerò
non mi riconoscerai”).
Shlomo convive con
la menzogna di non
essere ebreo e di
non essere orfano;
e con il razzismo
di parte della società
israeliana, che considera
i falasha –
nel migliore dei casi
- come una sorta di
ebrei spurii. Il film
procede coinvolgente
e convincente: episodi
della vita di Shlomo
- prima bambino, poi
adolescente e infine
giovane adulto - tracciano
i loro profili sullo
sfondo di un paese
in crisi d’identità;
forse, più
del protagonista stesso.
Sono gli anni della
grande illusione della
sinistra israeliana
(nel film, incarnatasi
nella famiglia adottiva
di Shlomo), di Yitzhak
Rabin e della storica
stretta di mano con
Arafat: spazzata via,
due anni dopo, dal
proiettile di un giovane
fanatico ebreo. Lo
stesso proiettile,
pensiamo, che trafigge
la spalla di Shlomo,
diventato soldato,
mentre sta soccor- |
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rendo un bambino arabo.
“Vai e vivrai”,
come dice lo stesso
Mihaileanu, è
un film di madri -
naturali, adottive,
immateriali –
e di figli dispersi,
in cerca di una definizione,
e di un ritorno a
casa. È un
film di amori trasversali,
che disconoscono le
razze e le credenze,
e le migliaia di chilometri
tra Etiopia e Terra
Santa. E, come lo
era stato “Train
de Vie”, è
anche un film di simulazioni
e menzogne; la più
tenera di queste –
ma è poi una
bugia? – la
riserva Sarah a Shlomo:
“Tu per me non
sei né nero,
né bianco;
tu per me sei rosso”.
Come ogni uomo innamorato.
Come Adamo (in ebraico
adom, “rosso”).
(di Paolo
Cola)
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