LA PANTERA ROSA
 

recensione la pantera rosa

 
Ciclicamente si torna a parlare di remake o di slapstick. Qui, nell’evidenza di una ripresa della produzione genericamente comica, più che cercare una coperta sufficientemente larga da includere tutto, si vorrebbero piuttosto individuare alcuni filoni e tendenze, mettendo in luce epifenomeni che si muovono trasversalmente, quali l’aspirazione al meticciato visivo e tematico, i tentativi di transcodifica da un medium all’altro, le strategie di battage mediale. Tuttavia, nessuno a Hollywood si sarebbe aspettato il recupero in forma di remake dell’originale (e unico) "La pantera rosa", scritto da Blake Edwards con Maurice Richlin nel 1963 e interpretato dall’inimitabile Peter Sellers. Peraltro, non va taciuto il cambiamento produttivo che è spia di un mutamento ideologico: se la maggior parte dei film  
 
comici nascevano esterni ed estranei al sistema degli studios, un po’ come accadeva per l’horror, questa versione reloaded de "La pantera rosa" è invece frutto della politica delle major medesime che ne hanno acquistato i diritti, affidandole a registi in massima parte provenienti dal mondo del videoclip. Trapiantato a forza in un contesto socio-culturale altro rispetto a quello originario, questo remake resta oggi curioso fossile  
abbandonato allo sfruttamento intensivo dei multiplex, laddove il suo sottotesto polemico è stato alterato in meri pretesti. Cosa rimane, allora, di questa politica dell’umorismo? Forse proprio il suo protagonista, Steve Martin, nonostante l’inevitabile e umiliante confronto col suo predecessore. Impiegato della comicità, non poteva che risultare lui l’unico possibile erede di un altro, poetico bancario della risata. Il lunare Ispettore Clouseau ha il merito di divertire la gente, senza però fare vittime, senza l’espediente dei capri espiatori. C’è una sola vittima in tutto il film. Ed è Martin stesso. E’ lui il bersaglio prediletto delle proprie prese in giro. Certo, la gestualità e l’uso che l’attore fa del suo corpo sono decisamente lontani dall’ottenere effetti rintracciabili nell’età dell’oro del cinema in bianco e nero, con i film muti diretti da Mack Sennete e Hal Roach, che avevano per interpreti grandi attori come Buster Keaton, Charlie Chaplin, Stanlio & Olio, i Fratelli Marx, i Keystone Kops ed i Three Stooges. Nell’ennesimo remake, dopo i deludenti "L'infallibile ispettore Clouseau" (1968) con Alan Arkin e "Il figlio della pantera rosa (1993) con Benigni, l’agente pasticcione si trova, per esempio, davanti a..(continua)


 
 
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