LA ULTIMA LUNA
 

la ultima luna recensione

 
In esilio nel 1973, il cileno Miguel Littin e’ l’ unico regista del Sud America ad aver ottenuto due nomination all’Oscar (Actas de Marusia e Alsino y el condor, candidati per il miglior film straniero). Pubblicati due romanzi, girato “Sandino” (l’Augusto Cesar eroe nazionale del Nicaragua), interessatosi anche ai documentari ha girato "cronicas palestinas" sulla seconda Intifada, companero presidente dedicato a Salvador Allende e acta general de Chile sulla dittatura di Augusto Pinochet, entrando nel paese sotto falsa identita’; circostanza questa raccontata dal premio Nobel Gabriel Garcia Marquez nel libro "la aventura de Miguel Littin clandestino en Chile" (mentre dal canto suo Littin aveva trasposto in film "la viuda Montiel" dello scrittore). Del suo "la ultima luna", finito quest’anno, aveva detto:  
  “ho bisogno di fare questo film, raccontare agli altri cio’ che ha significato la vita degli esseri umani durante tutto questo processo fino ad oggi, quando siamo costretti a mettere in dubbio i valori base della condizione umana nella guerra atroce e fratricida esistente tra palestinesi ed israeliani. Perche’ da una parte si tiene sotto occupazione la gente, si chiudono le scuole, si nega ad un popolo di esistere come tale, e dall’ altra l’ oppressore vive la tremenda incertezza e sofferenza che implicano gli attacchi quotidiani da parte dei palestinesi che si immolano, che alcuni chiamano martiri, altri terroristi; io non voglio qualificarli in nessun modo, pero’ sono contro ogni tipo di terrorismo. E il muro non contribuisce affatto a fermare il terrorismo individuale, piuttosto di per se’ costituisce un'atroce  
 
manifestazione di terrorismo di Stato. Se non sapessi che questo film puo’ contribuire ad un principio di pace non avrei que sta ossessione talmente grande di farlo”. Basato sull’ esperienza del nonno paterno (in Cile esiste la piu’ grossa comunita’ palestinese fuori dal Medio Oriente), girato tra molti ostacoli di guerra da una troupe di 10 persone a Beit Sajur, villaggio vicino Gerusalemme, recitato in arabo ed ebraico anche con attori cileni, il film (premio per la  
 
 
miglior regia al festival iberoamericano di Santa Cruz, Bolivia) e’ ambientato nel 1914, a ridosso del passaggio dal dominio turco-ottomano al controllo britannico della Palestina. Dove “il cielo e’ piu’ vicino alla terra”, dove ”l’ uomo grida, ma la donna comanda”, dove “i fiori crescono tra le pietre ed hanno le spine”. Quando si cantava perche’ le nuvole non coprissero la luna e non diventasse...(continua)
 
 
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