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dejà
vu forse emerge dalle
pieghe della sceneggiatura,
inevitabile essendo
il pugilato stato
saccheggiato più
e più volte
dal cinema di ogni
tempo, fonte inesauribile
di contenuti dal valore
universale e metafore
di vita. Ma "Cinderella
Man" non vi si
sofferma, guarda e
passa oltre, essendo
altro l’obiettivo
da raggiungere, quello
di raccontare la straordinaria
vicenda umana di uno
straordinario essere
umano, la storia di
una seconda chance
raccolta e onorata
come meglio non si
sarebbe potuto fare.
Ascesa, caduta e di
nuovo ascesa, inarrestabile,
imprevedibile, eroica,
una di quelle improponibili
per toni e dimensioni
se non ci fossero
documenti certi a
testarne la veridicità.
La morale a renderla
plausibile è
semplice: chi ha conosciuto
la vera povertà
non può aver
paura di niente perché
non c’è
avversa- |
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rio
più duro della
fame. L’american
boy, l’eterno
Richie Cunningham,
il cantore della parte
buona dell’America,
quella esistente forse
solo in un ideale,
quella dei sani principi
tradizionali stretti
attorno al concetto
di famiglia, coraggio,
onestà e spirito
di sacrificio, filma
questa variazione
sulla favola di Cenerentola
con “nobile
semplicità
e quieta grandezza”.
Non sono necessari
infatti impennate
di stile o preziosismi
da cineasta. Basta
e avanza l’avventura
di Braddock e lo sguardo
triste e orgoglioso
di Russell Crowe,
capace ancora una
volta di far battere
cuori, ingoiare magoni,
tremare i polsi. Una
parabola la sua non
condotta in solitaria.
Al suo fianco infatti,
in viaggio verso il
tetto del mondo, c’è
una nazione intera,
stremata come lui
dalla Grande Depressione,
che in lui si riconosce
e si identifica, ritrovando
la speranza, possibile,
di rialzare la testa.
Con lui in tanti quella
notte hanno pregato,
sofferto, vinto ed
esultato. Oggi, con
loro, anche noi. (di
Mirko Nottoli) |
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