CINDERELLA MAN
 

cinderella man recensione

 
“Nella storia della boxe nessuna vicenda è paragonabile a quella di James J. Braddock”. Con queste parole si apre Cinderella Man, e anche se sappiamo che la boxe non è parca di storie al limite della fiaba (già più volte celebrate al cinema), dopo aver visto il film non facciamo fatica a crederlo. Cinderella Man, come lo definì la stampa con poetica efficacia, il pugile d’origine irlandese caduto in disgrazia durante la grave crisi economica del ’29, espulso dai ring perché considerato ormai incapace di combattere, ridotto sul lastrico in fila per il sussidio statale, a elemosinare qualche ora di lavoro giù al porto un giorno sì e tre no che, presentatagli una seconda possibilità, ritorna quasi per scherzo a indossare i guantoni battendo, contro ogni pronostico, uno dopo l’altro, avversari più giovani e più forti di lui, fino a rag-  
  giungere, in età di pensionamento, l’incontro per il titolo mondiale con il temutissimo Max Baer. Era il 13 giugno 1935. I pochi che l’hanno visto e i moltissimi che lo seguirono per radio non l’avrebbero dimenticato, pronti a giurare di aver assistito al più grande combattimento della storia del pugilato, eguagliato forse solo da quello, celeberrimo, fra Mohammed Alì e George Foreman in quel di Kinshasa 40 anni dopo. Strano che fino ad ora il cinema si sia lasciato scappare una storia come questa. Ora però giustizia è fatta. Ci volevano una vagonata di oscar per realizzarla: Brian Grazer, Ron Howard e Russell Crowe (rispettivamente produttore, regista e attore) oltre ad una manciata di comprimari di lusso come Renè Zellwegger e soprattutto Paul Giamatti, impagabile nelle vesti di menager-allenatore-mentore-confidente-amico che condivide le sorti del protagonista. Chissà che alla vagonata  
 
di Oscar non se ne aggiungano degli altri. Sarebbero più che meritati, non c’è che dire. Chapeau a tutti loro. Innanzitutto perché "Cinderella Man" non è, come forse si potrebbe pensare, l’ennesimo film sul mondo della boxe. Lo stesso regista ha affermato che probabilmente nemmeno Braddock si è mai considerato davvero uno sportivo, non andando particolarmente fiero di guadagnarsi da vivere picchiando  
 
 
qualcuno sul ring. Allora via le bisunte palestre fatiscenti di periferia, via i vecchi allenatori stanchi e disillusi, via gli impresari corrotti in limousine e via anche tutti quegli estenuanti allenamenti a base di sacco, flessioni, tute sudate e corse per strada su avvincenti temi musicali. Va bene, qualche sensazione di... (continua)
 
 
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