La nostra eroina dagli occhi blu non può fidarsi più di nessuno, deve combattere da sola coi lancinanti dolori che nessuno prende in considerazione, cercare astutamente di evitare gli intrugli di Minnie Castevet che l’avvelenano giorno dopo giorno. I libri che ha avuto in consegna dal suo amico Hutch la illuminano sui metodi usati da queste sette, del loro modo di riuscir a mietere adepti anche tra le persone più vicine, quelle insospettabili, e la conducono alla decisione di fuggire per salvare il bambino. Come per tutto il film, Polanski continua a dosare sapientemente momenti di tenerezza, di gioia familiare con il sospetto, la paura, il terrore provocati dagli strani avvenimenti che circondano la protagonista. La bocca di Rosemary alterna momenti in cui si allarga in sorrisi di gioia a momentini cui si restringe per la

 
 
tensione che lascia senza fiato, i suoi grandi occhi che osservano con ingenuità le persone fissano, invece, il vuoto nei momenti di lucidità. Così ci fa gran tenerezza, e di conseguenza siamo molto preoccupati per la sua sorte, l’immagine di Rosemary con un vestito colorato e quasi da bambina, magrissima e col pancione, coi piedi a papera ed in mano la valigia del ricovero che corre per scappare dai “mostri”. Trova riparo presso il suo precedente ostetrico a cui racconta tutta la storia nella speranza di trovare un vero alleato, ma non sarà creduta e verrà riconsegnata ai suoi aguzzini. Dopo momenti di crisi isteriche, giunge la calma. Nel suo letto, stanca e confusa, è indecisa se credere o meno al marito. Se il bambino è morto, allora perché può ascoltare tutte le sere il pianto di un neonato? Cosa ne fanno dei fondi di latte che lei lascia? Straordinaria è la sequenza finale in cui Rosemary, con un coltello in mano, apre il passaggio segreto che si trova nel ripostiglio (quel ripostiglio che, la prima volta che gli sposini avevano visto l’appartamento, era nascosto da un grande armadio) e piomba alla riunione dei “satanisti”. La scena è surreale perché non c’è vera tensione, la setta satanica sembra più un circolo di anziani indifesi e stupiti dal gesto di Rosemary che reagisce offrendogli una tazza di the. Rosemary si avvicina alla culla di color nero e, per un attimo rimane inorridita dagli occhi indemo-
 
 
niati del suo bambino, quegli stessi occhi che aveva Adrian Marcato quella notte che l’aveva posseduta. Ma all’orrore subentra subito l’istinto materno e, cullando dolcemente il suo piccolo, Rosemary diventa complice di quella setta di mostri. Accetta di prendersi cura del nuovo Satana perché non potrebbe vivere lontano da quel bambino che aveva tanto voluto. Il finale segna quindi la vittoria della tenerezza materna capace di oltrepassare qualsiasi barriera, che sia dell’orrore o della diversità. La cinepresa sorvola su Manhattan come nella scena iniziale, ma questa volta allontanandosi dal Bramford, lasciando i protagonisti al loro destino. Rosemary’s Baby, come abbiamo cercato di dimostrare, è un capolavoro che deve la sua immortalità e attualità non certo al contenuto satanico del racconto. Che il satanismo sia o meno attuale poco c’importa in quanto non è strettamente il contenuto che fa l’attualità di un film, ma l’originalità della forma e la qualità tecnica. Come abbiamo già detto, è nella tensione tra tenerezza e horror, thriller e dramma, sogno e realtà che abbiamo trovato il punto di forza di un film che non si distingue per la natura della storia, ma per il modo in cui la racconta. Polanski gioca con i generi, mischia le carte in tavola e ciò fa si che il film diventi un esperimento perfettamente riuscito di sconfinamento (dei generi,delle esperienze). In fondo, il cinema non è (anche) l’esplorazione e, nello stesso momento, la pratica del nostro modo di avere esperienza? E il genio non è forse chi riesce a mettere in discussione questo nostro modo e ad oltrepassare i confini? Ecco cosa rende grande Polanski ed immortale Rosemary’s Baby.


Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI.
(di Delio Colangelo )


 
  - Riepilogo  
     

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