"nell'acqua si vede il volto della persona amata"), si perde in un piccolo porto "salvato dal marinaio" che gli promette di ritrovare Juliette e riportarla da lui. La donna, persa tra la vitalità contagiosa della grande città e il rimpianto per Jean, riconosce Père Julies e riabbraccia il marito, mentre il barcone fluviale riparte lungo i canali della Senna e fa ritorno a casa. Enrico Ghezzi , che ha inserito la famosa sce-

 
 
  na subacquea di Jean che si butta nelle acque come sigla di "Fuori orario", ha dichiarato che "L'Atalante" è il suo film favorito di sempre, parlando di "una visione totalizzante dove c'è già tutto quello che dovrebbe esistere nel Cinema, e per questo dopo averlo visto si può fare a meno tranquillamente di tutto il resto". Un simile criterio di giudizio, che ai più parrà esagerato, è in realtà prettamente condivisibile: l'impressione che il film sia una
 
 
una summa di tutto ciò che l'occhio cinematografico può creare diventa concreta fin dalla prima visione. Lo spirito anarchico di Vigo guida una storia d'amore apparentemente neutrale rispetto ai fasti dell'Avanguardia di cui è stato autorevole esponente, ma in realtà è molto più pertinente di quanto sembri: si crea perciò un connubio inedito e assoluto tra il lirismo dei sentimenti e la sperimentazione ortodossa delle varie esperienze artistiche in ambito cinematografico (il surrealismo su tutti). "Totalizzante" è l'amore come esperienza di vita, quella di Jean con Juliette, pur nelle rispettive diversità di entrambi: l'uno e l'altro si trovano, si lasciano, si cercano, si riabbracciano, ora complici dello stesso sogno (il matrimonio), ora divergenti da diversi bisogni (il comportamento di Juliette "non è" immorale, in quanto afferma con decisionismo la propria dimensione individuale, il bisogno di coltivare il sogno ed esprimerlo anche attraverso la fuga). E al tempo stesso Jean è incapace in un primo tempo di "penetrare" nei bisogni della moglie, di concretizzare i suoi sogni (...). E lo è forse, ma meno accentuato, il monolitismo sociale e "politico" della storia, che mette in rilievo il difficile rapporto tra Jean e Père Jules, divisi dai loro stessi ruoli, e una volta tanto meno pragmaticamente "uniti" da un disperato senso di vuoto, dall'empatia del vecchio marinaio verso lo sposo afflitto, e dal bisogno umano e "virile" di aiutarlo. L'impressione è che non sia facile cogliere questi aspetti, proprio perchè lo spettatore rischia di perdersi nello stupore indifesso che fa perno alla storia, all'elemento acquatico dove "si vede il volto della persona che si ama", e da una serie di immagini straordinarie che possono trasportarci in una dimensione rarefatta e irrazionale, quasi quanto la vena apparentemente grottesca e umorale del film. Una cosa è comunque certa: visto una prima volta, il film di Vigo mostra una vitalità (mettendo un'incontenibile buonumore) che è impossibile non cogliere. E' l'effetto dello spartiacque assoluto tra il cinema dei primordi, quello dei Lumiere e di Melies, e i grandi mezzi espressivi del cinema successivo. La stessa storia, pur con i suoi diversi toni umorali, viene preservata come un'eterno Inno alla vita, grazie anche alle musiche di Jaubert o di Bixio, o anche all'incredibile verve di alcuni comprimari, come l'attore da strada con la sua "personale filosofia di vita". La Grande Città, dove si "animano" giganteschi burattini nelle vetrine dei negozi ma anche (purtroppo) avvilenti riflessi sociali (un presunto ladro viene praticamente quasi linciato dalla folla, prima di essere arrestato) non è (più) il territorio della lussuria deviante che raccontava per esempio l'"Aurora" di Murnau (filtrandola metaforicamente nel personaggio della "donna di facili costumi") ma uno scrigno....(continua)
 
 
 

 
     

Copyright © Cinema4stelle.it 2003-2005. Tutti i diritti sono riservati.