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Dal
punto di vista delle immagini,
la scelta obbligata del bianco
e nero risulta infine di felice
esito, attraverso una resa pittorica
in bilico tra il biancore diafano
e il lugubre, profondo, buio,
assecondando l’atmosfera
soffocante della narrazione.
Il risultato espressivo sottolinea
l’angoscia di nuda impotenza,
di pornografico disarmo |
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di fronte all’orrore
più intollerabile,
quel ribrezzo che collima
all’indifendibile
ed incomprensibile efferatezza
dell' antropofagia, crudele
ed impietosa, persino beffarda
in presenza di rapporti
familiari. La mancanza di
oggettività cromatica
in riferimento al sangue
non smarrisce un’innegabile
ferocia esposta, delineandosi
quale conclusione efficace
in attesa del seguente capitolo,
Zombi (1978), nel quale
l’orrore, da rivelato,
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diviene
esibito, assaporato e goduto
lentamente e a fondo, per mezzo
di un oggetto, il corpo umano,
ormai simbolo di livore e disfacimento.
Romero realizza un film in cui
il sarcasmo più irriverente
non mitiga la sensazione di
soffocamento ma al contrario
l’accentua: il protagonista
principale è Ben, l’uomo
di colore, bersagliato dalle
odiose offese razziste, solo
appena velate, da Harry, ripugnante
e pavido personaggio. Prestabilita
appare l’empatia dello
spettatore verso il primo, apparentemente
fonte inesauribile di soluzioni
per la salvezza. In verità,
solo alla fine, sarà
chiaro come le decisioni di
Ben abbiano portato al continuo
fallimento, mentre le impopolari
affermazioni di Harry, in particolare
l’impiego come rifugio
della cantina, fossero invece
giustificate; lo stesso Ben,
unico sopravvissuto, supera
la notte di assedio solo grazie
a quel riparo, per poi morire
ammazzato dal fuoco amico, confuso
per sbaglio con un morto vivente,
secondo un estremo atto di scherno,
in linea con il senso incessante
di depressa e fatale condizione,
di continuo e precipitante sfacelo.
Un capolavoro.
Lo era IERI,
lo è OGGI
e lo sarà
DOMANI.
(di Francesca
Lenzi)
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Riepilogo |
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