LA NOTTE DEI MORTI VIVENTI  
  Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi CAPOLAVORI del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per capire se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno presi in esame solo opere che all'epoca venivano considerati CAPOLAVORI per capire, analizzando il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere, circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali o, ETERNI anche OGGI e DOMANI.  
 

Esiste una data fondamentale nel genere horror, una sorta di limite oltrepassato, per cui il modo di concepire una storia di terrore, e la relativa forma di ricezione da parte dello spettatore, subiscono una modifica percettibile di indiscussa evidenza. Il 1968 vede la nascita (senza pericolo di eccedere nell’esaltazione) di un’opera crinale il cinema

 
  dell’orrore del passato attraverso un’elaborazione vergine, dotata di uno spirito sconosciuto. "La notte dei morti viventi" è il prodotto di uno straordinario e non previsto successo, scaturito però dall’ideazione brillante, profonda e affatto improvvisata di George A. Romero, fatalmente conquistato dal romanzo di Matheson, "Io sono leggenda". Realizzato in 35 mm, con un bianco e nero reso necessario dalla disponibilità economica, interpretato da attori arrangiati, sostanzialmente legati gli uni agli altri da rapporti di amicizia, "La notte dei morti viventi" stabilisce un passaggio tra il vecchio e il nuovo, facendosi depositario di un linguaggio cinematografico trasformato, sia a livello di contenuti sia per condizione di soluzioni visive totalmente autentiche. Il film di Romero si distingue dalle altre, precedenti, pellicole di zombi principalmente per il contesto nel quale ambienta il racconto: fino ad adesso lo spazio dinamico del non-morto era relegato ad adatta-  
 
menti caraibici, all’interno dei quali il “mostro” resta essenzialmente una figura vivente, sottoposta ad un sortilegio, pronunciato dagli stessi umani per scopi egoistici e di interesse, resa serva, piegata alla volontà del padrone. Romero sconvolge un siffatto tradizionale folclore, annullando l’intervento consapevole dell’uomo, a favore dell’origine di una creatura partorita da cause ignote, stimolata da un bisogno naturale come la fame,  
 
  inconcepibile nell’assurdo processo di appagamento di tale urgenza, coincidente con la bramosia di carne umana. Lo zombi del regista di Pittsburg perde ogni giustificazione relativa alla stregoneria, assumendo una definizione scrupolosa, che prevede un percorso netto, eppure inimmaginabile, con la morte certa dell’individuo, l’altrettanto inevitabile resurrezione del corpo, privato di qualsiasi barlume di coscienza, infine l’istintiva caccia nei confronti dei vivi. Nonostante la negata spiegazione a proposito della radice di inizio del morbo, è riconoscibile più di una tematica politica: le azioni violente, i due rispettivi eserciti, le scene apocalittiche di morte, le distruzioni rischiarate dal fuoco, l’imperante, opprimente, ignoranza di fondo sulle motivazioni e sulle circostanze, persuadono la mente della sensibile affinità alla guerra del Vietnam, per estensione a qualunque conflitto militare. Socialmente, la collettività dei morti viventi può condurre all’estremizzazione delle conseguenze del capitalismo, per mezzo di una ferocia e di un cannibalismo tutt’altro che figurati, termine ultimo del disconoscimento dei vincoli affettivi e della successiva sconfessione dell’ideologia di appartenenza ad un gruppo comune..(continua)  

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