NON APRITE QUELLA PORTA  
  Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi CAPOLAVORI del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per capire se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno presi in esame solo opere che all'epoca venivano considerati CAPOLAVORI per capire, analizzando il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere, circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali o, ETERNI anche OGGI e DOMANI.  
 

“Il film che state per vedere è il resoconto della tragedia che è capitata a cinque giovani, in particolare a Sally Hardesty e a suo fratello invalido Franklin. Il fatto che fossero giovani rende tutto molto più tragico. Le loro giovani vite sono state spezzate da eventi così assurdi e macabri che forse neanche loro avrebbero mai pensato di vivere. Per loro un'idil-

 
  liaca gita pomeridiana estiva si trasformò in tragedia. Gli avvenimenti di quella giornata portarono alla scoperta di uno dei crimini più efferati della storia americana... The Texas Chain Saw Massacre.” Sarebbe ipocrita smentire il brivido lungo la schiena, nato dall’ascolto delle precedenti parole. Inevitabile porsi la retorica domanda: sarà davvero accaduto? Inutile la risposta: l’importante è averne il dubbio. Il cinema è finzione; talvolta, realtà simulata, in ogni caso fittizia, e presuppone il condiscendente accoglimento del compromesso, convergente con il consenso a valutare la storia narrata come prodotto immaginario, creato dall’ingegno. Abbandonati, ubbidienti, alle ragioni del racconto, i titoli di testa invitano a un clima di infastidente atmosfera, intrisa di alterata osservazione, diffusa dalla parziale e insoddisfatta vista, rasserenata solamente da brevi e instabili flash, rivelatori di membra umane, decomposte e nauseanti, riprese in dettagli, non  
 
sempre perfettamente esplicativi. L’osservazione, benché incompleta e avvilita, subisce un’azione di disturbo e inquietudine, ancora non chiaramente giustificati, ma già validi per sentirsi catapultati in un stato di catatonico imbarazzo. Da qui in avanti il film risulta essere diviso, sostanzialmente, in due parti, ciascuna interpretata con strumenti e scelte visive differenti, a seconda degli intenti comunicativi desiderati. Il primo momento riproduce  
 
  una condizione spaziale governata dall’illuminazione congenita del sole; una luce che, tuttavia, possiede un senso vagamente artificioso, che si discosta dall’apparente resa naturale del giorno, ingannata da un dilatato bagliore biancheggiante, una luminosità espansa, a tratti persino accecante. Un tipo di resa cromatica, quello intrapreso da Tobe Hooper che produce l’effetto disorientante di allestire una storia dell’orrore in un contesto opposto all’oscurità dominante, elemento primario di una dinamica che voglia provocare un’emozione di paura. Il regista ha quindi preteso di tracciare una nuova soluzione espressiva, contraria al modello precostituito tradizionale. Luce, non solo concepita come dispositivo impiegato puramente a livello ottico, ma anche quale struttura tesa a trasmettere un preciso sentimento: l’inconsapevolezza. I personaggi, secondo un ordine rigoroso, quasi assurdo nel riproporsi con puntuale ripetitività e simile attuazione, vanno letteralmente incontro alla morte; tre di loro, addirittura, replicano uno stesso atteggiamento, entrando, di propria volontà, nella casa della folle famiglia, dove Faccia di Cuoio li ucciderà in modo atroce. Lo spazio aperto, l’ora pomeridiana, l’aspetto esteriore di un edificio isolato ma tutto sommato privo di un’identificazione allarmante, ingannano le vittime, ignare della possibilità di..(continua)  

Copyright © Cinema4stelle.it 2003-2008. Tutti i diritti sono riservati.