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MANHATTAN |
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Scopo di
questa rubrica è analizzare i
grandi CAPOLAVORI del
'900 e quindi di IERI. Contestualizzarli
ad OGGI per capire se la prova del TEMPO
li ha resi ETERNI o superati. Verranno
presi in esame solo opere che all'epoca
venivano considerati CAPOLAVORI
per capire, analizzando il contenuto
e la forma, gli aspetti che li hanno
resi tali da essere, circoscritti al
loro TEMPO per ovvi motivi sociali o,
ETERNI anche OGGI e DOMANI. |
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New
York, fine anni Settanta, Isaac
Davis (Allen) ha smesso di scrivere
per la tv e progetta un libro, ispirato
al suo rapporto con la madre, dal
titolo “La sionista castrante”.
Ha alle spalle due matrimoni falliti,
si vede con la diciassettenne Tracy
(Mariel Hemingway), ma ha paura
del ridicolo per questa sua relazione.
Teme anche che la sua seconda moglie
abbia
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messo in piazza i suoi difetti in un
libro che sta per uscire. In tutto questo
conosce Mary (Keaton), ma anche questa
relazione non sembra portare ad una
maggiore stabilità. Manhattan
è un’isola speciale: fredda
e tormentata, algida e pulsante, nevrotica
e accogliente, triste e ironica rifugge
le più semplici classificazioni
disorientando chi si ferma ad ammirarla.
Lo era negli anni Settanta e lo è
ancora. E forse lo sarà sempre.
Allen, dichiarandole il suo amore/odio,
sa assorbirne tutti gli umori e le idiosincrasie,
realizzando una commedia intellettuale
e romantica, un po’ dramma, un
po’ satira, un po’ intimista
e un po’ sociologica, catturando
alla perfezione sia il decadimento morale
di un’upper-class opulenta e cerebrale,
sia l’ineluttabile romanticismo
che guida ogni scelta dei suoi abitanti.
Ne vien fuori uno dei film più
passionali del cineasta newyorkese,
in cui le scelte istintive, dettate
dai sentimenti, per quanto stupide o
autodistruttive, prevalgono sulla ragione:
la rela- |
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zione tra Isaac e la diciassettenne
Tracy; il rapporto extraconiugale
tra Yale e la nevrotica Mary e
tra quest’ultima e lo stesso
Isaac; la corsa finale di Allen
per fermare la Hemingway che sta
per partire, per concludere con
una delle scene più memorabili.
È il trionfo della passione
sulla razionalità, nonostante
la fallibilità e l’imperfezione
di tale atteggiamento. E la riflessione
è tanto più evidente
nella discussione che avviene
tra Allen e |
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Murphy nell’aula dell’università,
con uno scheletro di homo-sapiens come
spettatore, che si sofferma sull’impossibilità
di essere perfetti e sull’illogica
impulsività di alcune scelte.
L’idea del conflitto tra cuore
e cervello (quest’ultimo, citando
lo stesso Allen, un organo enormemente
sopravvalutato), tra sentimento e ragione
è estesa alla stessa Manhattan,
così fredda e intellettuale,
ma al contempo viva, coinvolgente e
piena di luoghi romantici e di atmosfere
e sensazioni poetiche. E così,
a conferma, di tale ossimorico stato
d’animo, al termine di una festa
pseudo-intellettuale, ipocrita e altoborghese,
Isaac e Mary finiscono su una panchina
davanti al “Manhattan Bridge”
a contemplare l’ineffabile bellezza
della città che si sveglia, dando
vita a un’istantanea che è
ormai storia del cinema. Inevitabile
anche il riferimento all’arte
e al coraggio delle proprie scelte in
campo professionale: lo si trova nella
discussione..(continua) |
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