SCHINDLER'S LIST  
  Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi CAPOLAVORI del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per capire se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno presi in esame solo opere che all'epoca venivano considerati CAPOLAVORI per capire, analizzando il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere, circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali o, ETERNI anche OGGI e DOMANI.  
 

"Verrà un giorno in cui tutto questo avrà fine". L'Olocausto narrato da Steven Spielberg è una delle numerose proposte cinematografiche sullo sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale; fra tutte le versioni rappresenta però l'opera più densa di significato ed emotività, elementi trasposti attraverso un adattamento di assoluta perfezione

 
  tecnica e di vigorosa trepidazione interiore. All'interno dell'infinito sguardo dell'immane tragedia, il regista sceglie, riferendosi al romanzo di Thomas Keneally, La Lista di Schindler's, di filtrare la storia per mezzo della figura, realmente esistita dell'imprenditore tedesco. Opportunista, libertino, estremamente ambizioso, iscritto al partito nazista, mutò, nel corso degli eventi, le proprie priorità, sostituendo alla ricerca del successo personale la lotta per la salvezza degli ebrei, impiegando, presso la fabbrica, un numero sempre maggiore di operai, accampando pretesti economici, dietro i quali si celavano motivazioni misericordiose. L'orrore della "liquidazione" del ghetto di Cracovia il 13 marzo 1943 rese Oskar Schindler consapevole della mostruosità dei presupposti nazisti, provocando, quale rigurgito imperioso, un costante impegno verso la tutela dei perseguitati, sfruttando l'ascendente che vantava sugli ufficiali del Terzo Reich. Il progetto di un film sulla  
 
Shoah ha coinvolto per lungo tempo Spielberg, desideroso di definire una testimonianza essenziale per il pubblico; il risultato, scaturito da uno studio appassionato e rigoroso, ha condotto, nel 1993, a Schindler's List, pellicola capace di vincere, tra gli innumerevoli premi, sette Oscar: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale, miglior fotografia, miglior scenografia, miglior montaggio, miglior colonna sonora. Ogni componente  
 
  svolge un ruolo fondamentale all'armonia totale del prodotto, una combinazione disarmante di atto informativo e di perizia narrativa. Il bianco e nero, oltre alla ponderata spiegazione di aderenza alla documentazione oggettiva, ha una specifica giustificazione da ritrovare nell'esperienza individuale del regista: "Quasi tutto il materiale che ho visto sull'Olocausto è in bianco e nero, quindi la mia visione corrisponde a quello che ho visto in documentari e libri". Lo sforzo di determinazione dell'unità filmica è stato possibile solamente grazie alla contemporanea struttura dei vari costituenti: la valutazione dei costumi, l'assemblaggio delle scenografie, la prospettiva fotografica e l'angolazione di ripresa. In particolar modo, questi ultimi due aspetti forgiano l'eccellente profilo della pellicola, attraverso quadri dotati di autonoma vitalità, affrescati di pallide pennellate e di fosche chiazze e di fuligginose, volanti, apparenze; una bicromia in grado di infondere sullo schermo la più dettagliata gamma di emozioni che qualsiasi altra tavolozza preferibilmente provvista potrebbe mai eguagliare. Spielberg presenta tagli con primissimi piani ad evidenziare ogni minimo particolare del volto umano, dall'imperfezione fisica all'impercettibile, eppure ringhiante, smorfia di dolore e sconfinata prostrazione; dall'attonito sguardo degli oppressi, alle allucinate iridi delle spietate guardie, dalle indifferenti labbra compresse..(continua)  

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