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L'INFERNALE
QUINLAN |
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Scopo di
questa rubrica è analizzare i
grandi CAPOLAVORI del
'900 e quindi di IERI. Contestualizzarli
ad OGGI per capire se la prova del TEMPO
li ha resi ETERNI o superati. Verranno
presi in esame solo opere che all'epoca
venivano considerati CAPOLAVORI
per capire, analizzando il contenuto
e la forma, gli aspetti che li hanno
resi tali da essere, circoscritti al
loro TEMPO per ovvi motivi sociali o,
ETERNI anche OGGI e DOMANI. |
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Tratto
da un romanzo minore, un modesto
noir di Whit Masterson, "Touch
of evil" (titolo originale
del film) - distribuito in Italia
con un'effimera traduzione, "Contro
tutti", "L'Infernale Quinlan"
segna il ritorno hollywoodiano di
Orson Welles dopo una serie di opere
- fra cui l'incompiuto "Don
Quixote" - girate in Europa.
Le ragioni non sono difficili
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da interpretare: osteggiato dai produttori
americani per la sua megalomania e per
gli scarsi incassi dei suoi film, Welles
ha sempre preferito raccogliere nella
sua prolifica attività di attore
le risorse necessarie per girare i suoi
film, voltando spesso le spalle alla
Mecca Hollywoodiana che, del resto,
non l'ha mai realmente amato. E' sintomatico
che "L'Infernale Quinlan"
divenga pertanto un film Wellesiano
al cento per cento, per certi versi
scisso dal romanzo mediocre da cui è
tratto, fino ai più piccoli particolari:
girato negli studi Universal per gli
interni, e nella cittadina di Venice,
California, per gli esterni. Ebbene,
la stessa Venice diventa un paesino
al confine tra Usa e Messico chiamato
Los Robles (?). E tuttavia l'elemento
frastornante del film è proprio
la sua apparente veridicità hollywoodiana,
che è, per
un oscuro paradosso, l'emblema della
"falsità" del cinema
americano. Fin dalla prima, immortale
sequenza, giustamente passata alla storia
del cinema per la sua indiscus-
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sa abilità tecnica, la
cittadina di confine sembra riprodurre
anche urbanamente l'artificiosità
degli studios hollywoodiani, anche
se il realismo visivo cerca di
convincere lo spettatore del contrario
(e del resto l'esistenza stessa
della cittadina di Los Robles
alias Venice). Proprio le dichiarazioni
di Welles a proposito del suo
modo di fare Cinema ("Teatro
e cinema sono la stessa cosa")
creano le profonde divergenze
tra il rendere troppo sanguigni
ed enfatici i |
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suoi personaggi di cinema, siano essi
creature prima letterarie e poi teatrali
("Machbeth", "Othello")
sia di sua invenzione (l'Arkadin di
"Rapporto confidenziale").
In ogni caso, "Quinlan" non
è un noir nel senso classico
del termine, ma una serie di generico
puzzle di generi e sottogeneri dove
trionfa l'antologico predominio Wellesiano
dei clichè cinematografici americani,
adattati ovviamente nella forma personale
e oltranzista di un vero Genio di cinema.
Ma stavolta, rispetto all'intreccio
intricatissimo del suo "La signora
di Shangai", il film si dimostra
più lineare anche se (ovviamente)
ancora più spiazzante nel suo
approccio stilistico. La stessa entrata
in scena, memorabile, di Quinlan, con
la sua pesante sagoma di "un quintale
e oltre", la sua ingombrante e
minacciosa andatura verrebbe voglia
di collocarla negli excursus del cinema
di fantascienza: un "monster"
che tutti ammirano e temono, ed esattamente
per le stesse ragioni ne restano in
qualche modo soggiogati. E, dulcis in
fondo, Welles, l'uomo che ha odiato
profondamente "Gioventù
bruciata" di Nicholas Ray fino
a ribadirlo più volte, introduce
in un contesto post-noir una personalissima
e innovativa rilettura del filone sulla
delinquenza minorile: i nipoti di De
Grandi, i "chicanos" con i
loro giubbotti di pelle e la loro ribellione
selvaggia e "guasta" –
sembrano usciti dai rituali dei bykers
di "Il selvaggio" di Benedek
con Marlon Brando - si abbandonano alla
lussuria sfrenata (c'è anche
Mercedes McCambridge che veste i panni
di un ragazzo esplicitamente ambiguo),
sia nell'attaccamento al "vizio
di famiglia" dei rispettivi padri
e zii, sia davanti alla devastante problematica
sociale di cui sono chiamati in causa.
Nelle sequenze del party orgiastico
in un motel, sembrano i fratelli cattivi
del lucido "Peccatori in...(continua) |
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