L'AMICO DI FAMIGLIA
 

conferenza stampa

 
Lunedì scorso alla Casa del Cinema, il regista Paolo Sorrentino ha presentato il suo nuovo film “l’Amico di famiglia”.
E’ una versione modificata rispetto a quella portata a Cannes…
Era più vicina alla sceneggiatura la prima. Appena finito, il girato lo vedi troppe volte. Un paio di mesi dopo ho notato i difetti. Il montaggio era stato frettoloso, il film risultava un po’ lungo e faticoso per la comprensione. Abbiamo tagliato sei minuti, soprattutto nel finale. Mi viene da fare più finali, è un mio problema. A volte mi va bene, qui no.
Potrebbe considerarsi il terzo capitolo di una trilogia sulla solitudine?
Non è una trilogia, la solitudine è una condizione imprescindibile, un tema troppo ampio
Qual’è stata la spinta?
 
 
Mi piaceva l’idea di una commedia su un usuraio, due elementi antitetici. L’usuraio istituzionalmente non può essere una figura comica, tutti lo considerano in malo modo.
Un protagonista al negativo…
Il cinema è per l’estremizzazione, ma è più facile diventare come lui che come Madre Teresa di Calcutta. La statistica mi dà ragione. Basta uscire la domenica pomeriggio o leggere il giornale. C’è quel mondo lì, non è necessaria una ricerca approfondita. Il fascino di raccontarlo è banale: il Male ha più movimenti del bene.
Il cast è anticonvenzionale, con presenze insolite…

Questo con me avviene molto spesso per caso, non ho pregiudizi verso nomi più consolidati. Ci sono stati rifiuti di attori per impegni o problemi pratici. Il protagonista però devo averlo in mente da subito. La trovata è stata Rizzo (il protagonista, ndr), il film è pensato su di lui, mi è sempre piaciuto. E poi è consueto utilizzare un caratterista come protagonista.
L’architettura fascista pontina?
Quei posti li conoscevo, li fotografavo e pensavo che fossero degni di entrare al cinema. Mi piacevano, e non è poco. La metropoli è caotica e appannaggio di certa TV, il cinema deve cercarsi luoghi che siano forti, come la televisione non può essere. Non per una forzatura etica, ma è un’architettura destinata ad essere inquadrata. Fa uscire dalla città. Ordinata, senza automobili e persone. La scelte mi vengono pure da certe idiosincrasie: odio le macchine parcheggiate e i motorini. Escludendoli, arrivi a questo.
La musica è un aspetto importante…
Teardo (autore della colonna sonora, ndr) per caso anni fa mi aveva mandato della musica elettronica, e io mi sono entusiasmato. Non credevo ci fossero italiani che la sapessero fare. Nei miei lavori la musica nasce in fase di sceneggiatura, mentre di solito è un’operazione che si fa successivamente. Anche per il mix ci sono diversi casi. In genere molti arrivano alla fine stanchi e hanno fretta, altri non hanno soldi, e c’è invece chi ci si dedica.
Il tema portante è il denaro…
I soldi sono veicolo di rapporti di potere. Come ne le Conseguenze dell’amore, volevo mostrare l’assenza o la presenza di potere, e in che modo viene usato.
Che effetto voleva suscitare?
Il protagonista ha una notevole dose di ironia e autoironia. Le prime volte che lo vedevo ridevo. Non è capitato solo a me, al Festival di Londra la platea rideva. Ma la commedia non è il genere che voglio frequentare.
Il cinema può cambiare la realtà?
Non ha più questa forza, è di nicchia, poco popolare. A Napoli ci sono macroproblemi, magari bastassero 50-60 film.
Resta legato ai suoi film?
Hanno un effetto spazzaneve, il successivo spazza via l’altro.

(di Federico Raponi )

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