[
Zoran il mio nipote scemo recensione] - La famiglia, centro nevralgico della società, rifugio sicuro di ogni individuo ma anche depositaria di segreti e di misteri. Era inevitabile che il tema della famiglia diventasse cinematograficamente appetibile, declinato in tutte le sue varianti, traslato in commedie come in tragedie, nei thriller come negli horror. Il cinema si è occupato anche di filiazioni spezzate, di padri senza figli e figli alla ricerca di padri che ignorano la propria progenie o ne sono fuggiti. Pensiamo al toccante "Le chiavi di casa", dove Kim Rossi Stuart, dopo ben tre lustri dalla nascita del figlio che ha abbandonato, decide di conoscerlo. Nonostante il rapporto sembri procedere per il meglio, l'handicap del ragazzo lo costringerà a fare i conti con le proprie debolezze e paure, e l'epilogo instilla il dubbio sulle sorti del nucleo ritrovato, mostrando solamente il pianto liberatorio come presa di coscienza dei propri limiti del padre. Bill Murray, ex dongiovanni nel delicato "Broken flowers", scopre, tramite una lettera anonima, di avere avuto un figlio ben diciannove anni prima. La scoperta della paternità, per un uomo stanco e imbolsito nonché lungi dall'instaurare delle autentiche relazioni affettive, si configura come una scoperta del proprio sé. Il viaggio fisico del protagonista alla ricerca del figlio (?) diviene un viaggio interiore, durante il quale Murray, come gli spettatori, non scoprirà mai l'identità del ragazzo, ma che gli lascerà in eredità un improvviso quanto perturbante desiderio di paternità. Ci sono anche film che hanno affrontato "paternità acquisite", in cui adulti allergici alle relazioni o cristallizzati nel loro ruolo di duri e anaffettivi, si ritrovano, loro malgrado, a dover accudire, sostenere o insegnare a bambini o giovani solitamente molto più caparbi e maturi dei loro tutor improvvisati, che ridaranno nuovo slancio alle loro vite sospese e frammentarie. Accade in "About a boy", in cui il ragazzino complessato e dalla famiglia problematica si affeziona al "Peter Pan" Hugh Grant, obbligandolo a interrogarsi sul senso della sua vacua esistenza, tutta apparenza e niente sostanza, oppure in "Million dollar baby", in cui la tenace Hilary Swank "perseguita" lo scorbutico allenatore di pugilato Clint Eastwood, perché le insegni la boxe per riscattarsi da un'esistenza vissuta ai margini; il vegliardo insegnante, d'altro canto, indurito dalla vita e genitore respinto, si affeziona alla sua discente al punto da ritrovare in lei la figlia che ha perduto (per un motivo che non conosceremo mai, poiché il cinema vuole insegnarci che non contano tanto le premesse, ma le conclusioni). Un cinema la cui colonna portante è il "doppio speculare", con l'intreccio sgrovigliato da personaggi distinti ma complementari, che compensano l'uno le mancanze dell'altro. C'è un film italiano, in questi giorni nelle sale, che ricalca grossomodo il modello delle suddette pellicole. "Zoran, il mio nipote scemo", diretto dall'esordiente Matteo Oleotto, si presenta con un titolo che evoca una certa cinematografia demenziale ma che, in realtà, funge solo da premessa all'evolversi della storia del film, racchiudendo l'impressione soggettiva del protagonista nei riguardi del suo "antagonista". L'azione si svolge nella tranquilla e sonnacchiosa provincia friulana, in un paese adombrato da cieli plumbei e nel quale gli autoctoni consumano vino come se fosse caffè. Paolo Bressan, impersonato dal sempreverde Giuseppe Battiston, di vino ne beve fin troppo; annacqua le sue giornate scolorite dalla solitudine derivante da un matrimonio fallito e un carattere impossibile, che gli impedisce di consolidare i rapporti personali. Lui, però, non pare farsene un problema, difatti maltratta il collega balbuziente e gli anziani della mensa per cui lavora controvoglia, ed è dedito alla menzogna compulsiva, che rifila a chiunque per scrollarsi di dosso seccature e responsabilità. Un (anti) eroe archetipico e ben strutturato, la cui unica possibilità di redenzione risiede in un eventuale ritorno con l'ex moglie, che prova a riconquistare ma che gli preferisce, a ragione, un uomo diametralmente opposto. Un giorno, in seguito alla notizia della dipartita di una lontana zia slovena, Paolo scopre di doversi occupare del fragile, timido e imberbe nipote quindicenne che non sapeva di avere, lo "Zoran" del titolo, frattanto che lo sistemino in una casa-famiglia. Il cinico e beffardo Bressan sottopone il giovane a delle vere e proprie sessioni di denigrazione e svilimento, finché scopre che il ragazzo è un prodigio del gioco delle freccette e decide di sfruttarne il potenziale a proprio vantaggio, obbligandolo ad allenarsi in vista dei campionati mondiali a Glasgow la cui vincita ammonta a sessantamila euro. Un'occasione di riscatto dalla miseria della sua esistenza priva di reali prospettive e ancorata all'angusta provincia, eppure le cose non andranno esattamente come previsto … Il giovane Zoran, in prima istanza succube e passivo, trae dall'innocente amore per una deliziosa coetanea la forza per ribellarsi allo zio carceriere e ritagliarsi un proprio posto nella comunità locale (in una simpatica quanto significativa scena, Zoran riprende il monito che lo zio aveva usato contro di lui per neutralizzarlo: "Muto! Devi stare muto!"); Paolo, d'altro canto, a poco a poco si lascia travolgere dal candore di quel nipote tanto nerd quanto speciale, e forse riuscirà a trovare la strada che lo condurrà al cuore della sua ex.
Come in "Broken flowers" o le altre pellicole sopracitate, non conta tanto scoprire se i personaggi riusciranno a vincere i mondiali di freccette o se riusciranno a conquistare le donne amate: "Zoran" è innanzitutto un film su un'"educazione emotiva" e sul risveglio dal letargo dei sentimenti; come quelli di Paolo, tenuti per troppo tempo a sonnecchiare, come la provincia da cui non riesce ad andar via.
(La recensione del film "
Zoran il mio nipote scemo" è di
Simona Lombardi)
- Vai all'
archivio delle recensioni
- Lascia un commento, la critica o la tua recensione del film "
Zoran il mio nipote scemo":