La recensione del film Zona d'ombra

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ZONA D'OMBRA - RECENSIONE

Zona d'ombra recensione
Recensione

di Giulia Mazza
[Zona d'ombra recensione] - Prendi un articolo uscito su GQ che denuncia il sistema del football americano brutto e cattivo – contro un medico nigeriano buono, anzi no, buonissimo – e fanne un film costruito per essere candidato agli Oscar. Deve aver pensato questo Peter Landesman quando ha scritto la sceneggiatura di "Zona d'ombra", di cui è anche regista. Il film racconta la storia vera di Bennet Omalu (Will Smith), giovane patologo forense iper-preparato e fuori dagli schemi: parla con i cadaveri, cerca di comprendere il contesto che ha portato alla morte i corpi che ha di fronte – più che le sole cause evidenti – e non usa mai gli stessi strumenti per più di un'autopsia. Per questo non può restare indifferente quando un bel giorno si ritrova sul tavolo il corpo di "Iron" Mike Webster, uno dei più grandi giocatori di football degli Stati Uniti. Come è possibile che un uomo di appena 50 anni sia caduto in una spirale autodistruttiva senza apparente spiegazione, che l'ha portato prima alla demenza e poi alla morte? Il dott. Omalu intuisce che c'è qualcosa che non va nel cervello di quel campione americano, e che quel qualcosa molto probabilmente è legato allo sport che l'ha reso così famoso. Paga di tasca propria analisi costosissime, e trova la conferma che lo porterà a formulare una diagnosi ben precisa: encefalopatia traumatica cronica, causata dall'accumularsi nel tempo di commozioni cerebrali, per via dei ripetuti colpi alla testa presi in gioco. La scoperta ovviamente provocherà una reazione "poco entusiasta", per usare un eufemismo, nella National Football League (NFL), che farà di tutto per screditare il medico. Benché noto, non serve svelare come andrà a finire la vicenda. Il problema della pellicola è che tutto è costruito a tavolino "per fare un bel film", o meglio, "per fare un film da Oscar". C'è il povero Davide che lotta contro Golia, c'è il sogno americano tradito, c'è la ricerca della verità contrastata dai poteri forti. C'è tutto, eppure a mancare è l'essenza stessa del fare cinema. La scoperta medica (pure interessantissima, tra l'altro) viene buttata lì come se nulla fosse, senza che qualcuno spieghi bene il perché e il percome. Il protagonista è un patologo forense, ma mai che venga mostrata da vicino un'autopsia, nel caso in cui lo spettatore possa impressionarsi troppo. Punteranno tutto sul confronto legale con la NFL, e invece no, neppure quello. In due ore di film, l'unica cosa su cui invece sembra puntare Landesman è la retorica, e pure di quella spicciola: tra self-made man e Stati Uniti come terra delle possibilità "appena al di sotto del Paradiso". (La recensione del film "Zona d'ombra" è di Giulia Mazza)
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