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Yara recensione] - (In programmazione Su Netflix) Difficile realizzare un film su un caso di cronaca che vede implicata una giovane ragazzina di appena tredici anni. Ancora più difficile, per giunta, se sul caso aleggia tuttora un alone di mistero. Eppure, il regista italiano Marco Tullio Giordana, avvezzo a pellicole appartenenti al filone cronachistico – ricordiamo, ad esempio, la ricostruzione del processo contro Pino Pelosi, accusato dell'omicidio dello scrittore corsaro, in "Pasolini, un delitto italiano" (1995), o anche il racconto degli ultimi giorni di Peppino Impastato ne "I cento passi" (2000) – non si lascia intimorire, ma anzi concepisce una pellicola che ha la sola e unica esigenza di raccontare come sono andati i fatti, attraverso il minuzioso resoconto delle indagini svolte. In questo senso Yara, paradossalmente, non è la protagonista della vicenda – o, almeno, non in senso stretto -, piuttosto diventa l'elemento da cui – con una lente d'ingrandimento – si analizza l'intero caso. Yara (Chiara Bono), infatti, appare solo in brevi flashback e in poche immagini evocate alla memoria dai suoi familiari, non permettendo allo spettatore di entrare nella sua quotidinità, nel suo essere un'adolescente piena di sogni e speranze per il futuro. Un'indagine sfrenata e senza precedenti, piuttosto, prende il sopravvento sull'intera pellicola, rendendola asettica e quasi priva di umanità – eccezion fatta per pochissime scene più drammatiche stillate qua e là. Forse una soluzione "surreale" alla Peter Jackson in Amabili resti (2009), considerando che si tratta di una storia vera, avrebbe forzato troppo la mano, ma una via di mezzo non avrebbe certamente guastato. L'impressione è quella di voler realizzare una caccia alle streghe, dove la ricerca della verità smania più del voler ricordare una ragazzina strappata alla vita nel fiore dei suoi anni. In questo senso, l'influenza delle produzioni televisive della casa di produzione TaoDue – su tutti, Distretto di polizia (2000-2001) e R.I.S. Delitti imperfetti (2005-2009), si percepisce intimamente, anche nella scelta di voler inserire cliché attinti dal mondo maschilista e soluzioni astutamente politically correct.
Il produttore Pietro Valsecchi, dopo le accuse mosse dai legali di Bossetti di aver realizzato una pellicola piena di gravi inesattezze, ha tenuto a precisare che "Il film è basato su una scrupolosa lettura delle carte processuali e della documentazione di quanto è accaduto". Su questo non ci sono dubbi, ma la sensazione di assistere a una fiction asettica e il cui unico scopo sia quello di amplificare l'opinione pubblica non abbandona l'animo dello spettatore fino ai titoli di coda (e anche dopo).
(La recensione del film "
Yara" è di
Giulia Mariani)
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