La recensione del film Viva la sposa

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VIVA LA SPOSA - RECENSIONE

Viva la sposa recensione
Recensione

di R. Baldassarre
[Viva la sposa recensione] - Essenzialmente in Viva la sposa Ascanio Celestini vuole di nuovo narrare di altre pecore nere. Un'umanità alienata da (ri)scoprire e raccontare; ma anche, nuovamente, uno spazio chiuso, un "manicomio" urbanistico in cui i personaggi sono imprigionati. Viva la sposa è ambientato nel quartiere periferico del Quadraro, una borgata che era sorta abusivamente e con il tempo è divenuto un quartiere multietnico; un "appezzamento" non molto lontano dal centro storico di Roma, che comunque rimane un confinamento, un ghetto in cui si cerca di sopravvivere. In Viva la sposa l'ambientazione è molto importante, perché per tutta la durata della pellicola i personaggi vi restano "ingabbiati"; loro non tentano nemmeno una fuga, tanto sognata e decantata come esterna con sicumera la disagiata Sofia. Questa manciata di figure raccontate da Celestini sono personaggi che nella scala sociale non contano nulla. Pecore nere perdenti che vivacchiano giornalmente, tra furtarelli e squallidi lavori. Probabilmente è fuorviante tirare in ballo Pier Paolo Pasolini, ma quest'umanità raccontata da Celestini ricorda quel discorso in cui il poeta rilevava come ci siano, in un secolo di grande sviluppo, ancora sacche di gente rimasta al di fuori della storia; un ceto che non riesce a entrare nel marchingegno dello sviluppo sociale, e quindi rimane in un limbo astorico, vivacchiando ai bordi della periferia. Ascanio Celestini, nel raccontarci di questi personaggi, descrive anche di riflesso un'Italia allo sfascio, in cui il popolo sta ormai galleggiando o è annegato nell'accettazione della vita. Con questo suo amorevole racconto Celestini cerca di farci provare empatia verso questo popolo di sconfitti, di personaggi ormai risucchiati nel fatalismo, ma in questo suo nuovo excursus, umanistico e cinematografico, Celestini sbaglia la mira. Se da un lato c'è una sua volontà di spingersi verso un discorso più cinematografico, escludendo i suoi noti solipsismi affabulativi, e dall'altro un interesse di tessere una storia più corale, quello che però resta è una pellicola che è solo un abbozzo velleitario. L'umorismo presente nelle opere precedenti, teatrali e cinematografiche, diviene meno spontaneo e più serioso, lasciando spazio a delle critiche più nette sorrette da una satira formale (ad esempio la serata di Nicola e Sofia nella villa di decadenti borghesi). In aggiunta, a questa benevola perlustrazione nella bassa periferia da parte di Nicola/Celestini, viene inserita nella colonna sonora la romanza Ave Maria, che cerca di riecheggiare l'uso sacro che Pasolini utilizzava verso quelle polverose borgate della Roma degli anni Sessanta. Celestini nella sua voglia di comporre un mosaico proletario non riesce purtroppo ad assemblare tutte le tessere (luoghi, paesaggi e personaggi) e il tutto rimane frammentario e superficiale, con personaggi che restano flebili figurine. Un tentativo che riecheggia, attraverso la fotografia di Luca Bigazzi, le viscerali e passionali storie dei fratelli Dardenne, ma che naufraga in un'inconsistente analisi sociale. Infine, ulteriore, punto deludente di Viva la sposa, è la banale critica verso il medium televisivo, che mostra, come speranzosi spot, una bellissima sposa straniera che gira per l'Italia, oppure i servizi giornalistici che elogiano l'eroismo dei poliziotti che manganellano alle manifestazioni. Il tentativo di Ascanio Celestini di fare il grande salto verso un cinema più maturo e costruito fallisce, e del suo tentativo serioso rimane solo un accenno, cioè nella scena del pestaggio di Sasà al commissariato. Il piacevole stupore che aveva suscitato con La pecora nera, si perde in quest'opera che cerca di essere più ambiziosa cinematograficamente, ma molto meno sincera. (La recensione del film "Viva la sposa" è di Roberto Baldassarre)
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