La recensione del film Victor

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VICTOR - RECENSIONE

Victor recensione
Recensione

di Elisa Torsiello
[Victor recensione] - È sogno ancestrale da sempre insito nella natura umana riuscire a sconfiggere la morte e riportare in vita persone a noi care purtroppo dipartite. Ce lo ha confermato sin dall'antica Grecia il mito di Orfeo, disposto a tutto pur di riportare in vita l'amata Euridice, e ce lo ha ribadito il successo ottenuto sin dalla sua prima pubblicazione da un romanzo come Frankenstein. Il cinema sin dai suoi esordi ha sempre dimostrato un apprezzamento particolare verso il mondo della letteratura, non stancandosi mai di abbeverarsi da questa fonte fatta di carte e parole dal sapore di inchiostro; eppure nessun romanzo al di fuori di quello firmato da Mary Shelley ha goduto negli anni di così tanti adattamenti. Sembra nascondersi dietro a questa ossessione maniacale una sorta di illusione che ci spinge a credere che, solo perché tradotte in immagini in movimento, le vicende del Dr. Frankenstein siano a tutti gli effetti reali e che, di conseguenza, bluffare la morte ridando la vita a chi era destinato a perderla sia davvero cosa fattibile. Affrontando il romanzo del 1818 in qualità di prototesto, sono molti i registi che negli anni hanno dato la propria versione, più o meno filologica, della storia originale. C'è chi ha cercato di discostarsene il meno possibile, come Kenneth Branagh nel 1994; chi, sfruttando l'aspetto gotico del romanzo, ha potuto porre una pietra miliare nella corrente espressionista degli anni trenta come fatto da James Whale; chi ha invece deciso di farne una parodia come Mel Brooks e il suo Frankenstein Junior. L'ultimo ad aggiungersi a questa tradizione fatta di trasposizioni e adattamenti è Paul McGuian, il quale con Victor- la storia segreta del Dottor Frankenstein ha voluto raccontarci una versione del tutto inedita del dottor Frankenstein e della sua creatura. Due le basi su cui costruire questo nuovo orizzonte diegetico: l'aggiunta del personaggio di Igor come punto focale da cui far diramare le fila narrative della storia; la decisione di concentrarsi sul carattere narcisistico, autoritario, e tormentato di Victor Frankenstein. Ma di cosa parla questa nuova versione di Frankenstein? Prima ancora di diventare l'assistente di Victor Frankenstein, Igor era un pagliaccio deriso e sfruttato per via della sua gobba. Il suo ingegno e la sua volontà di apprendere l'arte medica non fanno altro che acuire quel suo senso di solitudine e smarrimento in un mondo come quello circense troppo piccolo per una mente così vasta come la sua. Sarà proprio l'incontro con lo studente di medicina Victor Frankenstein che gli permetterà non solo di scappare da quell'universo a lui così distante, ma di offrirgli la possibilità di far parte di qualcosa di veramente grande, qualcosa destinato a cambiare il destino dell'uomo e della propria conoscenza per sempre. Aver giocato un grosso rischio come quello di integrare un personaggio come Igor, noto per il film di Mel Brooks, (ma di cui nel romanzo non si fa mai accenno) e di apportare così tanti cambiamenti rispetto alla versione originale, può benissimo essere interpretato da una parte come mero omaggio a un regista come quello di Frankenstein Junior (tanto che quest'ultima pellicola viene direttamente citata quando la donna amata da Igor si sbaglia e chiama Victor "dottor Frankenstein") e dall'altra come sincera dichiarazione da parte del regista della propria indipendenza autoriale. Peccato che quanto offertoci non è stato in grado di far trapelare quel senso di originalità che poteva permeare l'opera al suo stato embrionale di prefigurazione redatto su carta. Quando il film sembra infatti funzionare è nel momento in cui, per brevi e sporadici istanti, si avvicina maggiormente al romanzo di Mary Shelley. Sono rari bagliori intertestuali da ricondursi perlopiù ai sogni di onnipotenza di Victor nei confronti della morte. «La morte è una condizione temporanea» afferma un Victor Frankenstein in preda all'alcool, per poi aggiungere «se la vita è temporanea, perché non può esserlo anche la morte». È in queste frasi, nel loro nucleo pieno di illusione e delirante fantasia, che è possibile ritrovare piccoli rimasugli della psicologia del Dottor Frankenstein raccontatoci dal genio di Mary Shelley. Eppure anche queste frasi saranno soggette a un'iperbolica esagerazione che porteranno il protagonista ad attaccare Dio in veri e propri leitmotiv dialogici, affermando che tale entità non esiste e che l'unico essere superiore è l'uomo. Una presa di posizione dal sapore nietzschiano che presa nella sua singolarità potrebbe apparire anche interessante, ma che una volta posta nel grande calderone caotico del film di McGuian non fa altro che far acqua da tutte le parti. Dopotutto, parliamoci chiaro, non c'è Frankenstein senza la sua creatura. Sono due entità indivisibili, incapaci di sottrarsi l'una alla presenza dell'altra; pensiamo ad esempio a cosa ne sarebbe di Romeo senza Giulietta? Di Filemone senza Bauci, o di Dante privato della guida di Virgilio? Niente. Non ci sarebbe niente, nessuna storia, perché da soli questi personaggi non funzionerebbero. È qui che si ritrova il grande passo falso di tutto il film. Il voler ritardare ai fini della suspense spettatoriale la comparsa in scena della Creatura ha sortito l'effetto opposto a quello sperato: non ci si riesce a immergere completamente nella storia, perché non si riconosce in quella che stiamo guardando la vera storia di Victor Frankenstein. In più l'intromissione di Igor non ha fatto altro che spezzare questo gioco a due, e con esso l'illusione spettatoriale. L'azzardata supposizione moralistica che vorrebbe individuare in Igor la più riuscita creazione di Frankenstein solo perché quest'ultimo è riuscito a riportare alla vita un uomo destinato alla violenza e ai soprusi, donandogli perfino un'identità con la scelta del nome (cose mai fatte nei confronti della Creatura, per Victor sempre fonte di rinnego e ribrezzo) non hanno fatto altro che fomentare quel senso di caos che pervade l'intero film, tanto da fargli perdere quel sublime dibattitto dal valore etico riguardante fino a quanto l'uomo può spingersi nei confronti della morte che rese così unico e fascinoso il romanzo della Shelley. A nulla servirà il personaggio del Detective fanatico religioso (Andrew Scott) al fine di ripristinare tale concetto, e né tantomeno ne gioverà l'opposizione tra un Victor megalomane e intenzionato con le sue creazioni a elevarsi a Dio, e l'ingenuo assistente Igor, pronto con senso di lealtà e devozione ad aiutare il suo compagno. Più che alla storia segreta di Frankenstein sembra di assistere a una versione ottocentesca di Ex-Machina, con Victor nei panni di Nathan, Igor in quelli di Caleb e l'idea dietro alla genesi della Creatura in quelli che hanno generato Ava. Per quanto riguarda l'aspetto tecnico, la regia, la musica, perfino l'impiego di inserti come le immagini di parti anatomiche immaginate dai personaggi, tutto sembra rimandare sia allo Sherlock Holmes di Guy Ritchie, che a quello televisivo di Moffat; se poi ci aggiungiamo l'impiego di scenografie che si colorano di tinte dai sapori Burtoniani e la presenza di una pioggia incessante e di una creatura che sembrano essere state direttamente prese in prestito da Blade Runner, possiamo constatare quanto l'originalità gridata a gran voce dal soggetto sia stata pesantemente soffocata da una messa in scena fin troppo citazionistica. L'impianto visivo finisce per sovraccaricare una storia di per sé già caotica, condannandola a un lento tracollo verso gli abissi del disastro. A salvare il salvabile da questo inesorabile tracollo sono le interpretazioni dei due attori principali. Daniel Radcliffe convince senza però eccellere; James McAvoy si dimostra ancora una volta per quello che è: un vero talento. E proprio per questo lo reputo del tutto sprecato in un film del genere. Insomma, se questa è la storia segreta di Victor Frankenstein dati i risultati ottenuti, non mi sorprende più di tanto il perché è rimasta così a lungo segreta. (La recensione del film "Victor" è di Elisa Torsiello)
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