di R. Gaudiano
[
Vice recensione] - Agiva compassato, si aggirava per gli uffici della Casa Bianca con il piede felpato, in silenzio, il suo nome era Dick Cheney. Da persona estremamente attenta ed astuta, fu un sapiente burattinaio e mise in atto ingegnose manovre politiche che gli permisero di gestire un potere inaudito come vice presidente, durante la presidenza di George W. Bush. Un potere che fino a quel momento, come vice, non era stato concesso a nessuno. Cheney gestiva la burocrazia, l'esercito, l'economia e tutta la politica estera. Al suo fianco Dick Cheney ebbe sempre la spalla sicura di Lynne (Amy Adams), sua moglie. I due rappresentavano una coppia formidabile, capace di costruire tassello dopo tassello la scalata al potere, da difendere e custodire da tutto e da chiunque. Originario del Wyoming, Cheney fece anche il semplice operaio sui pali dell'elettricità. Ma già esibiva le sue doti di cinismo e perfida astuzia, doti che lo portarono dal 2001 al 2009 ad essere di fatto il co-presidente di George W. Bush. Da giovane al college non prometteva nulla di buono, spesso ubriaco, si fece sorprendere dalla polizia alla guida in stato di ebbrezza e fu la ferrea volontà di Lynne, sua fidanzata dal liceo, a rimetterlo in carreggiata e fargli cambiare completamente registro. E Dick Cheney ubbidì. Appassionato di pesca con la mosca, uno sport che richiede pazienza, Chaney usò proprio la costante pazienza per la sua ascesa al potere sia in politica che negli affari e seppe difendere questo potere, da uomo nell'ombra, avendo come mentore lo spavaldo Donald Rumsfeld (Steve Carell). Adam McKay, qui regista e sceneggiatore, riesce sempre a rendere lo spettacolo cinematografico, ed ancora una volta ad essere uno straordinario demiurgo dell'opera, della scena, nella realizzazione di un preciso obiettivo comunicativo ed espressivo. "Vice-L'uomo nell'ombra", nell' irriverenza sovversiva, racconta l'uomo Cheney nella sua parabola esponenziale del raggiungimento del potere, attraverso intrighi e scelte politiche che segnarono l'America dall'11 settembre fino ai giorni nostri. Scelte politiche nefaste, come la guerra in Iraq basata solo su falsità, una guerra sostenuta da interessi diretti sul petrolio. La derivata responsabilità del governo americano sulla nascita dell'ISIS fu alla fine cosa abbastanza plausibile. McKay vomita addosso allo spettatore la liceità della tortura adottata come sistema di controllo nelle carceri di Guantanamo e le leggi sapientemente orchestrate per incrementare il potere, confezionate a regola d'arte per non essere mai contro la Costituzione. "Vice" mette così in luce gli aspetti più sopraffini di una politica di potere che punta ad interessi propri e non è funzionale al Popolo ed alla Nazione. Non è solo grottesca l'analisi di McKay, è graffiante, ed arriva giusto al punto, avvalendosi del montaggio straordinario di Hank Corwin, con inserti televisivi e di documentario, puntando sulla storia con fatti di cronaca, cristallizzando il ricordo, la tensione, il dramma. Christian Bale, ingrassato per la parte, assume la maschera del camaleonte Cheney e scompare dietro di essa, con una capacità di mimesi straordinaria. Si resta inchiodati alla sedia, elaborando i messaggi destabilizzanti di questa semiotica cinematografica firmata McKay, fino alla fine dello scorrere dei titoli di coda.
(La recensione del film "
Vice" è di
Rosalinda Gaudiano)
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