La recensione del film Veloce come il vento

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VELOCE COME IL VENTO - RECENSIONE

Veloce come il vento recensione
Recensione

di M. Nottoli
[Veloce come il vento recensione] - La vicenda è liberamente tratta da fatti realmente accaduti (quelli riguardanti l'ex pilota Carlo Capone), ma i fatti realmente accaduti non sono che un pretesto per raccontare una storia atavica e archetipa, una storia che parla di rapporti conflittuali tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle, un'opera classica che affonda la radici nella Romagna dei motori, ma non quella di serie A, quella della Formula 1 o della moto GP, ma quella dei campionati minori, quella di passioni tanto autentiche da portare alla follia, di vecchi meccanici spiantati con le mani sporche di olio, di fienili trasformati in autorimesse, di macchine assemblate pezzo per pezzo, di case ipotecate per poter finanziare la scuderia. Veloce come il vento ci parla di amore e morte, di fallimento, sacrificio e redenzione, di seconde possibilità, di seconde scelte, di auto ferme da vent'anni che sanno ancora far mangiare la polvere, di relitti umani che quando il gioco si fa duro ricominciano a giocare. Di coincidenze fatali, profezie e infausti presagi. Quando si nomina l'italian race e si vede la carcassa di un auto sfracellata, allora già capiamo cosa ci attende. Veloce come il vento, del poco più che esordiente Matteo Rovere, è un piccolo film che ha del miracoloso. Perchè come film di genere è superiore a qualsiasi altro film di genere, le scene di corsa sono più autentiche di quelle di Rush, più esaltanti e avvincenti di tutti i Fast and Furious messi insieme; mentre come dramma esistenziale, anche nei passaggi più intimisti, sa parlare di massimi sistemi con una chiarezza, un' efficacia e una profondità capaci di pizzicare le corde dei sentimenti alla stregua di un cembalista che, lungo la partitura, ci prende per mano e ci conduce, o nota dopo nota, o con uno scatto improvviso, dal pianto al riso, dall'euforia all'angoscia, dalla rabbia al desiderio di rivalsa. Film potente dove ogni parte sembra funzionare alla perfezione. Da urlo la regia. Da urlo l'intera colonna sonora. Da urlo tutti gli interpreti: dalla giovane Matilda de Angelis, bolognese, classe 1995, di cui questo speriamo sia solo il primo passo di una sfavillante carriera, a Stefano Accorsi che dopo anni parigini può qui rispolverare il suo magnifico accento romagnolo. E' lui Loris De Martino detto il ballerino, l'eroe indiscusso del poema, ex pilota talentuoso oggi tossico irrecuperabile che, alla morte del padre, decide, per un tozzo di pane, di aiutare la sorella diciassettenne. Potrebbe sembrare sopra le righe Accorsi a prima vista, ma quando per la prima volta nel paddock afferra le cuffie e dallo sguardo perso comincia a fissare il monitor e a sputare consigli al pilota in pista, o nei momenti in cui ad occhi chiusi, sottovoce, ripassa mentalmente tutte le mosse da eseguire sul circuito, fa venire la pelle d'oca. L'ultima danza del ballerino, nel finale, sui tornanti che conducono ai sassi di Matera, quando con la sua Peugeot 205 si beve gli avversari superandoli una curva dopo l'altra, ci gonfia i cuori di emozione e gli occhi di lacrime, perchè quella è la danza di chi ormai si sente libero, un volo romantico verso il futuro perchè niente è finito finchè non è finito, perchè talento e coraggio, ci sta dicendo il ballerino, possono riscattare anche una vita scellerata, fatta di scelte sbagliate e circostanze avverse. (La recensione del film "Veloce come il vento" è di Mirko Nottoli)
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