La recensione del film Uno sguardo alla terra

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UNO SGUARDO ALLA TERRA - RECENSIONE

Uno sguardo alla terra recensione
Recensione

di R. Gaudiano
[Uno sguardo alla terra recensione] - Peter Marcias, regista sardo, autore di vari lungometraggi (tra cui "Ma la Spagna non era cattolica?") e di cortometraggi ("Il canto delle cicale" ed altri), riprende con "Lo sguardo alla terra" il discorso antropologico che Fiorenzo Serra elaborò con il film "L'ultimo pugno di terra", documentario etnografico del 1965, finanziato interamente dalla Regione Sardegna perché costituisse un valido documento di denuncia delle deprivazioni sociali ed economiche che affliggevano la società rurale sarda. Lo sguardo di Marcias è tutto concentrato verso la funzione del documentario e quanto questa funzione sia importante per mediare non solo la realtà, ma una qualità della realtà, filtrata attraverso sentimenti e sensazioni del cineasta che vuole cogliere l'essenza pura delle cose, della gente, dei luoghi che costituiscono i soggetti di tutta la narrazione filmica. L'elaborazione perfetta di questo lavoro documentaristico scritto e diretto dal regista d'adozione cagliaritana, scaturisce anche dal montaggio di Andrea Lotta, in cui s'intersecano ritagli del documentario di Fiorenzo Serra, squarci di città dal mondo e testimonianze preziose di molti registi della produzione documentaristica contemporanea, come Wang Bing (Cina), Brillante Mendoza (Filippine), Josè Luis Guerin (Spagna), Claire Simon (Francia), Mehrdad Oskouei (Iran), Tomer Heymann (Israele), Vincenzo Marra (italia) e Sahraa Karimi (Afganistan) cui si aggiunge la partecipazione straordinaria di Manlio Brigaglia e Piera Detassis. La Sardegna degli anni sessanta, che Fiorenzo Serra seppe cogliere nello spirito comunitario di un'attesa, necessaria per produrre finalmente un cambiamento, si coniuga con la Sardegna di Marcias nel nuovo di una contemporaneità, dove pastori e contadini, destinati ad una cultura primordiale, hanno osato l'emigrazione verso quelle città dove l'industrializzazione è stata la promessa di una svolta sociale ed economica. "Uno sguardo alla terra" non indugia su quei residui folklorici della terra di Sardegna, ma rimanda alla tensione di come era costretta la gente dell'isola ad affrontare l'incognita assoluta del quotidiano, la schiavitù lavorativa, il lavoro durissimo e pericoloso nelle miniere, la stessa condizione femminile. Ed è qui che il cineasta sardo affronta con sottile adeguatezza di linguaggio filmico cosa dire e come mostrarlo. Gli stessi numerosi registi che intervengono coralmente affermano che la realtà sociale e culturale è dinamica, necessariamente in divenire. E questo riconoscimento è un presupposto imprescindibile per un documentarista affinché possa mettere in evidenza le contraddizione della realtà raccontata, vera e viva. Se un documentario di taglio antropologico vuole avere un senso, se aspira ad essere qualcosa di più di una semplice "memoria visiva", deve proporsi come modalità di osservazione ed analisi e, insieme, come strategia comunicativa. D'altra parte anche allo stesso Zavattini, che fu supervisore del lavoro di Serra, in quegli anni '60 non sfuggì il come l'opera dovesse avere la sua forza comunicativa per arrivare dritto al cuore dello spettatore. "Uno sguardo sulla terra" è un documentario nel documentario, due scritture che alla fine giocano in perfetta sinergia nei suoni e nei silenzi, intercalati dalle musiche di Franco Potenza, che sostengono una narrazione di considerevole pregio artistico. (La recensione del film "Uno sguardo alla terra" è di Rosalinda Gaudiano)
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