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Un ragazzo d'oro recensione] - Il giovane Davide Bias (Riccardo Scamarcio), di professione pubblicitario, vive a Milano. Il giorno in cui suo padre, giornalista e sceneggiatore non di grande talento, si toglie la vita, Davide prende coscienza di non aver mai vissuto un rapporto sano e condiviso con il padre. Decide allora di trasferirsi a Roma per terminare l'opera di scrittura autobiografica rimasta incompiuta dal padre e cercare di pubblicarla. Davide però ha molti problemi esistenziali. E' legato sentimentalmente a Silvia (Cristiana Capotondi) che cerca di aiutarlo a superare le sue conflittualità interiori, ma sarà la bella Ludovica (Sharon Stone), editrice, che contatta a Roma per la pubblicazione del presunto libro autobiografico paterno, a risvegliare in Davide la speranza di un possibile riscatto. Pupi Avati, in questa sua ultima opera di regia, prende le distanze dalla sua tendenza a sviluppare un cinema per lo più regionale, con lo sguardo diretto ai localismi italiani, alle culture, alla gente dei luoghi, soggetti prediletti dei suoi precedenti lavori. "Un ragazzo d'oro" vorrebbe essere un po' il viaggio all'indietro nel tempo di Davide Bias, un Riccardo Scamarcio buio e molto legato nel ruolo, così ingessato da deludere sin dall'inizio del film. Davide raccoglie con convinzione il suo bisogno improvviso, dettato dai passati eventi, di ritrovare, attraverso l'autobiografia paterna, quella parte di se stesso mai appresa e mai vissuta, in una riconciliazione postuma con quel padre talmente scontento della vita da arrivare al suicidio. Nello stesso tempo Davide crede che continuare a scrivere l'autobiografia paterna, sia la chiave per dissipare tutte le ombre ed i fantasmi presenti nella sua quotidianità. Pupi Avati questa volta non decolla. "Un ragazzo d'oro", di cui il regista ha scritto anche la sceneggiatura, affligge con la sua noiosa lentezza, una narrazione priva di coesione e soprattutto di forza e vigore scenico. Purtroppo anche Riccardo Scamarcio non riesce a caratterizzare il personaggio di Davide, rifugiandosi in una maschera catatonica e piatta. Quasi tutto in quest'ultima opera di Pupi Avati non funziona. Dalla sceneggiatura, alla recitazione monca degli interpreti, ad una regia che non è stata in grado di creare una forma credibile, soffermandosi troppo e per troppo tempo sulle angosce dei protagonisti, e che ha impresso nel film un pessimismo senza speranza per il mondo del cinema falso menzognero. Ci si chiede dove sia finito quel Pupi Avati schietto e demiurgo di una mitologia cinematografica. Alla fine il viaggio di Davide resta monco, si perde malamente nel buio della sua mente malata. La fotografia di Blasco Giurato e la scenografia di Marinella Perrotta salvano per il rotto della cuffia le sorti di questo film, ahimè, piuttosto deludente.
(La recensione del film "
Un ragazzo d'oro" è di
Rosalinda Gaudiano)
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