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Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza recensione] - Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza o La prevedibile imbecillità di certa critica snob. Ovvero, come ti faccio il tipico film da festival: regista scandinavo (alternative possibili: est europeo, mediorientale, orientale, anche sudamericano purchè non di successo trasferitosi a Hollywood. Insomma, va tutto bene basta che non sia di quella parte di occidente evoluto). Cinepresa fissa. Ferma. Immobile. Guai se si muove. Rigore ed essenzialità stilistica. Ripresa da terra, un' po sghemba, un po' frontale. Perpendicolare. Simmetrica. Lunghi silenzi e pause dove, davanti alla cinepresa fissa, non succede niente. Dialoghi pochi, solo qualche parola biascicata, incomprensibile, perché il significato, si sa, sta nella forma. Humor nero, anzi nerissimo. E qui cascano gli asini. Lo humor nero apre tutte le porte. Registro grottesco. Linguaggio spiazzante. Siparietti surreali. Personaggi strampalati. Altresì detto: brutti ciccioni che si trascinano stancamente vendendo obsoleti scherzi di carnevale o vecchi decrepiti mezzi sordi che stramazzano al suolo mentre la moglie è in cucina e una musichetta allegra fa da contrappunto in sottofondo. Esilarante. Humor nero. E che credevi che fosse? Aggiungici un titolo altisonante, intellettualoide, vagamente filosofico e una serie di ambientazioni in alta definizione che citino più o meno apertamente Gregory Crewdson. Profondità di campo. Cura dei dettagli. Tutto perfettamente a fuoco, Un piccione seduto su un ramo di Roy Andersson, norvegese, ritenuto, attenzione!, l'erede di Ingmar Bergman, basterebbe, a fatica, a reggere una puntata di mezz'ora di cinico tv, tra l'altro senza nemmeno arrivare ai rutti e le scoregge di Ciprì e Maresco. Proiettate un film così in una normale sala con un normale pubblico pagante e avrete 90 minuti di gelo totale e ininterrotto (e parliamo di un cinema d'essay, frequentato da gente presumibilmente abituata ad assistere a noiosissimi capolavori così decretati da qualche giuria internazionale, non di una multisala di provincia piena di teenager col cestone dei pop corn e il cavallo basso). Proiettatelo in qualche festival cinematografico, pieno di critici e cinefili con l'accredito e si griderà al miracolo. Gli stessi critici e cinefili con l'accredito, la giacca di velluto e gli occhialetti colorati molto trendy, che magari danno voto 10 a Transformers 4 (giusto per distinguersi dagli altri) ma poi storcono il naso davanti a Birdman, giudicato troppo ruffiano e intellettualistico (e un critico con la giacca di velluto e gli occhialetti colorati molto trendy mica lo freghi con un piano sequenza!?! Vade retro, spettacolo!). Il risultato è che Un piccione seduto su un ramo vince il leone d'oro come miglior film all'ultimo festival di Venezia, mentre Birdman, anch'esso in concorso, rimane a bocca asciutta. Poi ci si lamenta che i festival sono in crisi.
(La recensione del film "
Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza" è di
Mirko Nottoli)
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