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Un fidanzato per mia moglie recensione] - Lei fa la deejay a Cagliari, si sposa con lui e si trasferisce a Milano. Tutto ciò avrà un peso nell'economia del film, si penserà. No, non ne ha. Durante il matrimonio le s' incendia il vestito ed è costretta a sposarsi in jeans. Questo episodio avrà di certo un senso all'interno del racconto, si penserà. E invece no, non ce l'ha. Si trasferiscono a Milano e lei da solare e caciarona diventa triste e depressa. Perchè? Non si sa, probabilmente per via del solito stereotipo che vuole allegria al sud e grigiore al nord. Fatto sta che lei inveisce contro tutto e tutti, con una particolare avversione per coloro che dicono "che coincidenza!" parlando dell'oroscopo (?), soprattutto a proposito del sagittario (???). Gag che così non vuol dire niente ma che sicuramente verà richiamata prima della fine del film trovando una sua precisa funzione ("semina e raccolto" insegnano a quegli stupidi corsi di sceneggiatura), si penserà. Invece no, muore lì, inutile come poteva sembrare. Lui ad un certo punto non ne può più, vuole lasciarla ma non riesce a dirglielo allora i suoi amichetti del basket lo convincono ad ingaggiare un playboy, il leggendario "Falco" (???), per sedurla e fare quindi in modo che sia lei a lasciare lui. L' idea di "Un fidanzato per mia moglie" è vecchia come il cucco, vista e rivista infinite volte (solo negli ultimi anni: la ragazza del mio migliore amico, il truffacuori, l'uomo perfetto), eppure, per partorirla, regista, sceneggiatore e produttori nostrani hanno sentito l'urgenza di prendere un film spagnolo del 2008 e farne un remake. Potevano almeno risparmiarci il siparietto di lui che per conquistare lei si fa trovare con Anna Karenina dopo aver saputo che lei ama i romanzi russi, e invece no, ci propinano pure quello. Lei è Geppi Cucciari che fa Geppi Cucciari, lui è Paolo di Luca e Paolo, Luca di Luca e Paolo, che probabilmente si percepisce come un gran figo, è il palyboy (ormai fa sempre il playboy), e giusto per ribadire la subalternità paracula del cinema al piccolo schermo c'è anche la voce off di Daria Bignardi che non serve a niente ma quando lo spettatore la sente può dire "ehhh, la voce di Daria Bignardi" sentendosi forse un po' a casa. Per la cronaca ci sono anche Ale e Franz, nel caso si senta nostalgia di Zelig. Il problema di "Un fidanzato per mia moglie" è il problema di tanta commedia italiana d'oggi: si butta giù un soggetto di mezza cartella e lo si affida ad una manciata di volti noti della televisione che vampirizzano il resto e il resto, in questo caso, è l'essenziale. Per cui ogni situazione è costruita in funzione dell'ennesima battuta sarcastica della Cucciari, ogni gag galleggia da sola scollegata dal contesto, nulla è giustificato e reso credibile a livello di sceneggiatura e chi assiste è semplicemente chiamato a credere solo perché così è scritto (lei dice banalità per radio, tipo non sopporto quelli che parlano del tempo, ma siccome devono essere osservazioni argute e spiritosissime tutti rimangono incantati e anche chi sta ciulando smette per ascoltarla). Purtroppo anche la parte migliore del film, ovvero il rapporto tra i due protagonisti nel momento in cui impercettibilmente risboccia la passione, momento capace, almeno sulla carta, di penetrare in qualche recesso ambiguo della personalità umana, viene descritta e risolta anch'essa in modo sommario, a discapito della quale si aggiunga anche l'idea balzana di aprire il film dal fondo, con loro già dal consulente matrimoniale secondo una scelta che ha come unico risultato quello di eliminare anche quel minimo gusto di scoprire come andrà a finire.
(La recensione del film "
Un fidanzato per mia moglie" è di
Mirko Nottoli)
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