UN CHIEN ANDALOU di Luis Bunuel
di Veronica Ranocchi
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi film del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per comprendere se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno prese in considerazione solo opere che all'epoca vennero reputate CAPOLAVORI per sviscerare, analizzandone il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali, o ETERNI, anche OGGI e DOMANI.
Considerato uno dei film d'avanguardia per eccellenza, "Un chien andalou" di Luis Buñuel e
Salvador Dalì del 1929, è l'emblema del cinema surrealista francese e del cinema surrealista in
generale.
Con quest'opera Buñuel ha fatto il suo esordio nel mondo del cinema, tutt'altro che in punta di
piedi, dal momento che si tratta di un film che, soprattutto per determinate scene e sequenze,
rappresenta un vero e proprio must.
Più che di una trama si parla, infatti, di scene, immagini e scelte particolari, ben congegnate e
sicuramente da analizzare.
Il film si apre con una delle scene più emblematiche della storia del cinema: il famoso taglio
dell'occhio. Un uomo, lo stesso Buñuel, con un rasoio taglia l'occhio di una giovane donna intenta
a guardare la luna. Esso rappresenta il vero gesto surrealista, quello cioè di proporre uno sguardo
diritto e crudele all'interno dello spettatore e, quindi, di ognuno di noi. Tagliare l'occhio della
donna significa scavare a fondo, non fermarsi alle apparenze o a quello che si pensa di vedere e di
comprendere, ma raggiungere l'interno della propria anima. Vuol dire, in un certo senso, aprire
ancora di più l'occhio e la visione, ampliarla a 360 gradi e, così facendo, non sarà più possibile
tornare indietro e guardare il mondo allo stesso modo. Siamo, in sostanza, di fronte a una metafora
molto crudele poiché da questo momento in poi non si potrà più accettare la neutralità o
l'indifferenza come mezzi per poter affrontare il mondo. Quella di Buñuel (e anche di Dalì) non è
solo una visione diversa rispetto al passato, ma anche una vera e propria sovversione e critica.
L'intento dei surrealisti è, infatti, quello di aprire, ferire e tagliare l'occhio senza alcuna pietà per
permetterci di vedere, anche a costo di grandi sofferenze, quello che fino a quel momento non
siamo mai stati in grado di vedere, percepire e comprendere.
Subito dopo la fatidica scena ci viene mostrata la storia di un uomo e una donna che, attratti l'uno
dall'altra, cercano in tutti i modi possibili e immaginabili di avvicinarsi, ma vengono costantemente
ostacolati da oggetti, eventi e persone che si frappongono tra loro. Lo spettatore non è più in grado,
a questo punto, di scindere verità e finzione, realtà e sogno che si concatenano alla perfezione.
Così come per la prima sequenza (quella del taglio dell'occhio), anche in questo caso i due registi
fanno uso di scene "forti" e d'impatto, soprattutto visivo, ma anche sensoriale in genere. Tra queste
una delle più celebri è quella delle formiche, dove il protagonista osserva la propria mano dalla
quale fuoriescono questi insetti. Probabilmente un'illusione e un grande tormento scaturito da un
sogno dello stesso Salvador Dalì. A fianco dell'uomo, anche la donna si ritrova a vivere situazioni
al limite dell'assurdo. Il tutto si svolge in un luogo e un tempo completamente assenti dal momento
che essi cambiano continuamente senza alcun filo logico: dall'interno veniamo immediatamente
catapultati all'esterno e viceversa. Motivazioni inesistenti anche per il continuo andare avanti e
indietro della vicenda, quasi a volerci suggerire una sorta di eternità nelle avventure (e soprattutto
disavventure) vissute dai due personaggi. Sembra, infatti, che siano costretti a vivere e rivivere in
qualsiasi spazio e tempo le stesse identiche situazioni, a prescindere da tutto e da tutti.
L'intero film rappresenta una denuncia e una critica al sistema che fino a quel momento aveva
diretto la settima arte. I surrealisti (Buñuel e Dalì in primis) avevano come scopo principale quello
di sovvertire il modo di fare, ma soprattutto di vedere il cinema. Volevano aprire la mente dello
spettatore e, per farlo, avevano bisogno, in primo luogo, di aprire (letteralmente) gli occhi del
pubblico, abituato a storie e situazioni fin troppo semplici che non andavano mai a scavare oltre,
non chiedendo a nessuno un'ulteriore riflessione, al di là della mera visione.
Con quest'opera i due autori sono indubbiamente riusciti nell'intento di portare ed offrire qualcosa
di nuovo allo spettatore. Tutte le immagini proposte, molte delle quali terribili, sono diventati fin da
subito dei veri e propri simboli di quello che era (ed è tuttora) il cinema, ma soprattutto di quello
che, all'epoca, era il cosiddetto nuovo cinema.
Anche la fine del film è in linea con ciò che viene mostrato precedentemente. I due protagonisti
sono sepolti nella sabbia a poca distanza l'uno dall'altro, ma, in realtà, è una distanza
insormontabile dal momento che, nonostante siano relativamente vicini, non riescono a toccarsi.
Quindi il fatto che siano vicini e lontani al tempo stesso ci sottolinea ancora di più la loro
condizione, ma rappresenta più che altro l'ennesimo tremendo e crudele paradosso. Così come, per
tutta la durata del film, fin dall'inizio, molte delle azioni compiute o subite dai due protagonisti
sono dei paradossi che indicano, in realtà, qualcosa di altro, allo stesso modo anche alla fine essi
rivivono la stessa situazione, quasi come a chiudere un cerchio, il quale, per sua natura, non ha un
inizio né una fine. Altro elemento da non sottovalutare è proprio la ciclicità con la quale, molto
probabilmente, si sono svolti e continueranno a svolgersi tutti questi eventi paradossali.
Una provocazione e un mezzo per creare e ricreare un sogno surrealista: è questo l'intento
principale dal quale nasce e verso il quale si orienta l'intera opera. Non a caso, infatti, "Un chien
andalou" parte proprio da due sogni fatti dagli autori (quello dell'occhio tagliato da parte di Buñuel
e quello della mano con le formiche da parte di Dalì) che, uniti tra loro, insieme ad una serie di
immagini assurde, provocatorie e senza alcun nesso logico, hanno permesso la realizzazione di uno
dei capisaldi del surrealismo.
Grande rilevanza ha avuto e continua ad avere nella storia del cinema quest'opera sovversiva che, al
di là dell'interesse per gli studiosi e i critici della materia, è anche stata ripresa più volte in
determinate opere cinematografiche. I riferimenti, più o meno espliciti, al film di Buñuel e Dalì
significano che l'intento sovversivo è più che riuscito e, anzi, è stato apprezzato. Lo era IERI, lo è OGGI, e lo sarà DOMANI.