UN AMERICANO A PARIGI di V. Minnelli
di Martina Farci
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi film del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per comprendere se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno prese in considerazione solo opere che all'epoca vennero reputate CAPOLAVORI per sviscerare, analizzandone il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali, o ETERNI, anche OGGI e DOMANI.
Era il 1933 quando, con Quarantaduesima strada (Lloyd Bacon), si aprirono le porte ad un nuovo genere cinematografico: il musical. Le case cinematografiche, quindi, si adeguarono con successo al nuovo stand hollywoodiano: la Warner contribuì a fissare la tradizione dello "spettacolo dentro lo spettacolo", la RKO iniziò ad integrare gli stereotipi del musical con quelli della commedia di ambientazione sofisticata, puntando tutto sulla coppia Astaire-Rogers (tra cui Cappello a Cilindro, 1936, Mark Sandrich), mentre la MGM, grazie al nuovo sistema Technicolor, si focalizzò sulla costruzione di universi fantastici e spesso onirici, come avvenne ne Il mago di Oz (1939, Victor Fleming). Ed è proprio questa la caratteristica che si riscontra nei successivi musical targati MGM, Il Pirata (1947, Vincente Minnelli) e, soprattutto, Un americano a Parigi (1951). Quest'ultimo film, con la conquista di ben 6 Premi Oscar – tra cui miglior film, miglior sceneggiatura e migliore colonna sonora – è ancora oggi considerato un capolavoro e ha imposto Minnelli come uno degli artefici della codificazione del genere.
Jerry Mulligan (Gene Kelly), un ex soldato americano ora pittore, è a Parigi per cercare di sfondare nel mondo dell'arte e si innamora di un'attraente, ma fidanzata, commessa di un negozio di profumi, Lise Bouvier (Leslie Caron). Tra un balletto e una canzone, gli imprevisti sono sempre dietro l'angolo.
Un americano a Parigi è un film che cattura fin da subito l'attenzione dello spettatore, trascinandolo in una Parigi sempre suggestiva e poetica, riuscendo ad integrare perfettamente canto, ballo e storia. Il titolo del film prende il nome dall'omonimo poeta sinfonico di George Gershwin, le cui canzoni sono contenute all'interno della pellicola e i cui testi sono stati scritti da Ira Gershwin. Per l'occasione le musiche originali sono state composte da Saul Chaplin, che è riuscito a dare un ulteriore tocco di originalità. Memorabile la sequenza di I Got Rhythm, dove Jerry Mulligan danza con i bambini per le vie di Parigi, comunicando tutto il suo amore per la città e per l'arte in generale. Ed è proprio quest'ultima il perno portante dell'intero film, con Minnelli che riesce nell'impresa di integrare perfettamente pittura, cinema e teatro, impreziosendo le performance stesse con canzoni e balletti che Leslie Caron e soprattutto Gene Kelly si cuciono addosso. L'atmosfera parigina e le scenografie contribuiscono a dar vita a un mix di colori, vitalità e romanticismo, immergendo chiunque lo veda nella cultura francese, nei suoi locali e nella sua musica. Gli schemi tradizioni visti fino a quel momento saltano e il regista si prende tutto il merito per aver portato il cinema a un nuovo livello di spettacolo. La sequenza finale, infatti, è una gioia per gli occhi: un susseguirsi di immagini, colori, scenografie, fanno da contorno alla coreografia che Kelly elabora sulla canzone che dà il titolo al film, in un balletto che dura ben 18 minuti. Si tratta di un omaggio a Toulouse-Lautrec, Van Gogh, Renoir e Monet, ma è soprattutto arte nell'arte, teatro nel cinema, dove i confini si confondono lasciando spazio all'immaginazione e alla creatività artistica. L'uso del Cinamascope, poi, contribuisce ulteriormente alla realizzazione di immagini di ampio respiro, soprattutto quando vengono utilizzate come scenografie ampie tele di grandi pittori e movimenti veloci di macchina. Ma tutte le componenti del film contribuiscono nella perfetta riuscita del prodotto, dalla fotografia alla sceneggiatura, dalla regia agli interpreti. E sono proprio Gene Kelly e Leslie Caron la ciliegina sulla torta, soprattutto nel numero interpreto sul lungo Senna, Love is Here to Stay. E se l'amore è qui per restare, Un Americano a Parigi pure. Dopotutto, è un capolavoro.
Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI.