UMBERTO D di Vittorio De Sica
di Veronica Ranocchi
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi film del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per comprendere se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno prese in considerazione solo opere che all'epoca vennero reputate CAPOLAVORI per sviscerare, analizzandone il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali, o ETERNI, anche OGGI e DOMANI.
Controverso e contrastato come tanti altri suoi titoli, "Umberto D." di Vittorio De Sica segna la nascita
dell'ennesimo prodotto neorealista che il pubblico non riesce ad apprezzare a pieno.
Dedicato al padre, Umberto De Sica, con il quale aveva un rapporto forte e particolare, il film è
interpretato da Carlo Battisti, professore di glottologia.
La storia è ambientata a Roma e tutto inizia con un corteo non autorizzato di pensionati che viene
fatto sgomberare dalla polizia. Tra loro alcuni si rifugiano nell'atrio di un edificio ed ecco che lo
spettatore conosce Umberto Domenico Ferrari che viene presentato come funzionario al Ministero
dei lavori pubblici per trent'anni. Purtroppo la vita che riesce a condurre non è quella che avrebbe
sperato, anzi è abbastanza misera, potendo disporre di sole 18000 lire al mese. A mezzogiorno si reca
alla mensa dei poveri per tentare di vendere un vecchio orologio che gli frutta solamente 3000 lire e,
con quelle, pensa almeno di pagare parte dell'affitto, ma quando torna nella sua squallida camera
d'affitto infestata dalle formiche ci trova una giovane coppia. E non può nemmeno dire niente in
proposito perché la prepotente padrona di casa continua ripetutamente a minacciarlo con il pagamento
degli arretrati. L'unica persona con la quale riesce ad avere una conversazione è la domestica Maria
che, fidandosi dell'uomo, gli rivela di essere incinta, anche se ignora l'identità di quello che potrà
essere il padre del futuro figlio, dal momento che frequenta contemporaneamente due militari.
Umberto, deciso a tentare, per quanto possibile, di migliorare il proprio stile di vita, riesce a farsi
ricoverare in ospedale per una febbre da tonsillite. Questa sembra essere una notizia positiva per il
protagonista che spera di rimanere in ospedale il più a lungo possibile, potendosi riposare e rifocillare
a sufficienza e senza avere l'ansia del pagamento dell'affitto. Mentre è lì lo vanno a trovare il suo
cane Flike e Maria, ma la degenza dura troppo poco e Umberto è costretto ad andarsene.
Tornato a casa scopre che c'è aria di cambiamenti perché la padrona ha deciso di sposarsi con il
proprietario del cinema e non ha più intenzione di affittare camere. Alla disperata ricerca di un
conforto nel proprio cagnolino, l'uomo trova Maria in lacrime perché abbandonata da entrambi i
militari con i quali aveva una relazione. Cercando di consolarla la donna gli rivela che Flike è fuggito
e Umberto si mette subito alla sua ricerca, riuscendo, appena in tempo, a salvarlo da soppressione nel
canile nel quale era stato portato dopo essere stato catturato.
Nonostante riesca a recuperare Flike la situazione della casa non cambia e la mattina dopo si trova
costretto ad andarsene e mettersi in cammino con valigia e cane alla ricerca di una nuova
sistemazione. Nella speranza che almeno il cucciolo possa godere di una vita quantomeno decente,
Umberto tenta di lasciare Flike in una pensione per cani, ma, quando vede che l'animale si spaventa
alla vista di altri compagni, torna sui suoi passi e lo porta con sé. Cerca anche di regalarlo a una
bambina, ma questa si oppone e il cane torna dal padrone. Umberto si trova, poi, davanti ad un
passaggio a livello e la tentazione di farla finita si impossessa di lui che comincia a riflettere sul
suicidio. A destarlo da questa idea è lo stesso Flike che, fuggendo all'arrivo del treno, distrae l'uomo
e gli fa scacciare i brutti pensieri.
Ciò che colpì fin da subito in "Umberto D." fu la realtà incredibile con la quale la storia veniva
raccontata. Una realtà nuda e cruda che si basa solo ed esclusivamente sulla vita quotidiana di un
uomo, per certi versi qualunque, che si ritrova di fronte a problemi e ostacoli che la vita può riservare.
Il fatto di mostrare il succedersi degli eventi con realismo e anche durezza è la dimostrazione di
quanto questo film sia (stato) uno dei capisaldi del neorealismo. Anche questo, come i precedenti
lavori dello stesso regista, è un modo di raccontare, attraverso un personaggio, tutta una realtà. È,
infatti, la realtà che lo circonda la vera protagonista. L'Italia dell'epoca, tra disperazione, povertà e
paura, viene descritta in maniera oggettiva dal regista usando come escamotage l'idea di raccontare
la vita di una persona che, solo perché lo si conosce, si può ricondurre al padre dell'autore, ma che
potrebbe benissimo essere un qualsiasi italiano medio dell'epoca.
E si tratta di un italiano medio che, oltre a dover far fronte ai problemi dell'epoca, deve affrontare
anche un altro aspetto inevitabile della vita: lo scorrere del tempo. Una sorta di elogio (che poi
neanche più di tanto) della vecchiaia che, lentamente, si impossessa di Umberto, tanto da fargli
pensare di non essere più utile, di non dover aspettare ancora. Anche per questo, infatti, si fa strada
in lui lo spettro del suicidio, sempre più vivido, sempre più pressante, fino alla fine.
Nonostante le critiche, alle quali abbiamo fatto riferimento all'inizio, e nonostante le censure
dell'epoca che non volevano mostrare un'Italia del genere al mondo intero, "Umberto D." è, come
praticamente tutti gli altri titoli di De Sica (e del neorealismo in generale), ancora oggi attualissimo.
È in grado di descrivere in un modo pulito e impeccabile tanti aspetti e tante sfaccettature che, seppur
in maniera diversa, tornano ancora oggi a "incombere" sull'italiano medio.
Chiaramente non tutto è negativo come lo vede Umberto e come lo descrive De Sica. Ma tutto è reale
e tutto può essere provato e toccato con mano, oggi come allora. E quando ciò avviene significa che
colui che si trova dietro la macchina da presa ha compiuto un lavoro memorabile. Qui più che mai si
nota la mano "pesante" dello sceneggiatore, Cesare Zavattini (che con De Sica aveva collaborato
anche altre volte in altri capisaldi del neorealismo e del cinema in generale), in grado di trasmettere
attraverso una scrittura praticamente perfetta tutta una serie, non solo di situazioni, ma anche di
emozioni. "Umberto D." non è solo il racconto di un paese, non è solo il racconto di un uomo che
vaga in questo paese alla ricerca di sé e di tante altre risposte. "Umberto D." è anche un racconto. Un
racconto silenzioso, di un mondo che si fa guardare con gli occhi di una persona che potrebbe essere
chiunque e che vede le cose, in parte, come noi spettatori le vogliamo vedere o come siamo in grado
di vederle.
Una macchina da presa che segue ossessivamente il protagonista, senza mai abbandonarlo, senza mai
lasciarlo solo, come a dire che noi spettatori abbiamo il compito e il dovere di seguire e aiutare il
personaggio, di tendergli la mano nel momento del bisogno e di guidarlo in un mondo che lui non
vuole conoscere per quello che è veramente.
Un'importante caratteristica è anche la narrazione per sottrazione, con il film che procede quasi come
se fosse un insieme di episodi uniti tra loro. La grande capacità di De Sica è quella di riuscire a mettere
insieme la vita di Umberto, soffermandosi con insistenza su momenti e situazioni a lui particolari. In
questo modo ogni sequenza del film può essere vista da sola, separata dal resto, come fosse un
episodio a sé stante. Un insieme di quadri che mettono insieme una realtà, ancora oggi super attuale.
Ed è questo che ha dato vita e continua a dar vita a un film, purtroppo, ancora incompreso ai più. Lo era IERI, lo è OGGI, e lo sarà DOMANI.