La recensione del film Tutti pazzi a Tel Aviv

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TUTTI PAZZI A TEL AVIV - RECENSIONE

Tutti pazzi a Tel Aviv recensione
Recensione

di R. Gaudiano
[Tutti pazzi a Tel Aviv recensione] - Salam (Kais Nashif) è un giovane palestinese di trent'anni che vive a Gerusalemme e grazie allo zio regista, lavora come interprete di ebraico sul set di una soap opera palestinese, Tel Aviv on fire, ambientata nell'immemorabile anno 1967 in cui avvenne la storica guerra dei sei giorni che segnò la supremazia israeliana sul popolo Palestinese. Salam deve ogni giorno attraversare il checkpoint israeliano per raggiungere Ramallah, luogo dove si effettuano le riprese. I militari israeliani del posto di posto di blocco sono al comando dell'ufficiale Assi, la cui moglie è un'assidua fan di quello sceneggiato televisivo. Salam fa credere al comandante Assi di essere lui lo sceneggiatore della soap, che racconta di un triangolo amoroso tra Manal (Lubna Azabal), spia araba d'indiscusso fascino con accento francese, Yehuda (Yousef Sweid), generale israeliano e Marwan (Ashraf Farah), combattente nella resistenza palestinese. Assi si sente subito coinvolto nell'affascinante stesura della sceneggiatura e pretende da Salam, ricattandolo, sottraendogli momentaneamente la sua carta d'identità, di decidere addirittura sul finale. "Tutti pazzi a Tel Aviv", presentato alla 75a mostra Internazionale di Venezia nella sezione Orizzonti, dove Kais Nashif è stato premiato come miglior attore, è il secondo lungometraggio del regista palestinese Sameh Zoabi, che gioca nella commedia la realtà scottante di due popoli, palestinesi ed israeliani, che condividono un eterno conflitto. Seguendo le vicissitudini del bonaccione Salam, che si trova man mano ad assumere un ruolo più referenziale, fino a diventare il vero sceneggiatore della storia della soap opera, Zoabi osa sull'intreccio metacomunicativo cinematografico per varcare i confini dell'odio e del rancore e riesce a fare un cinema di formazione. Il cineasta con garbo, e senza farsi tentare da attacchi bassi, argomenta sullo stato del mortificante conflitto israelo-palestinese. Salam non fa altro che accontentare le velleità del comandante Assi, ghiotto del buon hummus palestinese, che il giovane puntualmente gli offre ad ogni incontro. Allora il dialogo tra Salam e Assi prende corpo, ed ha il sapore di hummus, anche affrontando la piaga dell'occupazione, il potere che abusa della forza gratuita, la percezione perenne della sopraffazione e l'opzione della violenza da parte di un popolo come risposta ai continui soprusi. Zoabi affida all'inesperienza di Salam, la remota possibilità di una intesa tra israeliani e palestinesi, che possa nascere da un dialogo semplice, sincero ed amichevole, come succede tra il giovane e il comandante Assi, che per una soap opera televisiva collaborano ad un finale surreale. "Tutti pazzi a Tel Aviv", sceneggiato a quattro mani dallo stesso Zoabi e Dan Kleinman, è una commedia che gode di una narrazione lineare e fluida e si traduce in un messaggio che travalica il pregiudizio e pone con chiara e squisita leggerezza la possibilità di punti di contatto tra questi due popoli, che tra botta e risposta, sono logorati dall'odio. (La recensione del film "Tutti pazzi a Tel Aviv" è di Rosalinda Gaudiano)
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