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True Story recensione] - Tratto da una storia finta, tanto per citare il mai troppo citato maestro Maccio Capatonda, True Story traspone sul grande schermo le vicende del giornalista del New York Times, Michael Finkel (Jonah Hill), narrate da sè medesimo nel libro di memorie omonimo edito nel 2005. Giornalista in ascesa, in odore di Pulitzer, Finkel vede d'improvviso arrestarsi la sua carriera quando il NYT gli dà il benservito per colpa di un articolo le cui fonti non erano state verificate (eh già, fa ridere in tempo di fake news e di "gomblotti" astrusi che più sono astrusi più trovano credito). E' in quel preciso momento che, rimasto senza lavoro, Finkel entra in contatto, intravedendovi una possibilità di riscatto, con Christian Longo (James Franco), detenuto in attesa di giudizio con l'accusa di aver sterminato la famiglia, il quale, rifugiatosi in Messico, si spacciava proprio per Micheal Finkel.
A dirla così la storia suona davvero intrigante, e in effetti, almeno fino ad un certo punto, l'intrigo intriga. Fino ad un certo punto. Ovvero, come spesso accade, a circa ¾ di film, ovvero fino a quando tutto l'impegno di sceneggiatori e registi è rivolto ad accumulare mistero su mistero, a formulare domande su domande, senza preoccuparsi troppe delle possibili risposte. Il tempo delle risposte, ahimè, deve però arrivare, purtroppo per loro non è prorogabile all'infinto ed è qui che in genere cascano gli asini. Cascano allo stesso modo anche nella recente miniserie TV "La verità sul caso Harry Quebert" il cui canovaccio può risultare per certi versi analogo a quello di True Story. Con una differenza sostanziale: che La verità sul caso Harry Quebert è un thriller d'invenzione e va bene, il film di Rupert Goold invece, autore anche del biopic Judy fresco di Oscar (per l'attrice protagonista), vorrebbe avanzare qualche pretesa di speculazione filosofica sul tema del doppio e sul chi sfrutta chi, fino ad abbozzare uno stiracchiato e specioso parallelismo tra il reporter e l'omicida che francamente fatichiamo a comprendere, (alzi la mano chi ha capito l'occhiolino che Longo rivolge a Finkel alla fine del processo), a patto di non voler mettere seriamente sullo stesso piano un peccato come non verificare una fonte e una mattanza di donne e bambini. La strana coppia Jonah Hill/James Franco, già visti in molte commedie della premiata ditta Apatow-Rogen & Co., avevano realizzato l'anno precedente il demenziale The Interview, giocando lì sul crinale tra il vero e il finto. Qui invece abbracciano in toto la realtà prendendosi fin troppo sul serio con conseguente vacillare della loro credibilità. Sarà che Jonah Hill con quell'aspetto da eterno adolescente ciccione e cazzaro è perfetto quando fa l'adolescente ciccione e cazzaro, meno nei panni del reporter d'assalto, mentre James Franco, a nostro personalissimo avviso una pippa d'attore a cui piace travestirsi da artista, dovrebbe incutere un non so che di angoscioso con quei suoi modi sornioni e melliflui e invece sembra solo un tizio che sia lì lì per addormentarsi.
(La recensione del film "
True Story" è di
Mirko Nottoli)
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