di R. Baldassarre
[
Trolls recensione] - Nel linguaggio gergale odierno con il termine Troll viene definito, nelle comunità virtuali, un utente che con provocazioni scritte o visive, infastidisce gli altri internauti. Questo conio cibernetico recupera, dalla mitologia norrena, una figura mitica che aveva l'aspetto e il carattere di un orco malvagio. Però, su questo leggendario e favolistico personaggio, le fattezze sono variate nei secoli, proprio perché è una figura mitologica tramandata, dapprima, oralmente. Tra le diverse forme che le differenti comunità gli hanno dato attraverso i secoli, c'è anche un aspetto positivo, di entità buona e sbarazzina. Questa fisionomia dolce è alla base del cartoon Trolls, ma non è la vera fonte primaria d'ispirazione. Lo stimolo di creare un simpatico cartoon con protagonisti queste colorate e bislacche entità mitologiche nasce dallo sbalorditivo successo che continuano ad avere le Troll Doll ideate, negli anni '60, dal falegname danese Thomas Dam. Questo conferma come una delle ultime tendenze del cinema – industriale – contemporaneo è quello di attingere dal merchandising già avviato, e costruirci intorno un prodotto filmico che incassi molto, e rilanci ulteriormente l'articolo commerciale ispirativo. Vengono alla mente la saga dei Transformers o del nascente franchise horror Ouija (ambedue tratti da manufatti della Hasbro), oppure l'incredibile The Lego Movies, che metteva in "movimento" i famosi immobili mattoncini. Trolls, dietro la sgargiante patina di cartone animato fiabesco, è comunque questo, un furbesco atto commerciale. Scritto dalla coppia di screenwriters Jonathan Aibel e Glenn Berger (già autori della serie Kung Fu Panda), la sceneggiatura è una mescolanza di spunti provenienti da diverse fonti. Le fattezze fisiche, bizzarre e variegate, provengono dai pupazzetti – statici – in commercio (pare ne esistano più di 4000 modelli diversi); i caratteri sbarazzini e zuccherosi dalle leggende che li vedevano come esseri pacifici; la trama principale (i Troll come ambite pietanze per i Bergens) e la sotto-trama (l'amore di Bridget per il principe Gristle Jr.), rievocano – eccessivamente – i Puffi con Gargamella e Cenerentola. Un mix che va a costruire un sincretismo fiabesco e cartoonesco e tende a creare una favola mitologica nuova, che continui a dare il consueto insegnamento "pedagogico" e doni il messaggio morale finale. Tale concetto di storia mitica e favolistica "vera", è rimarcato sin dall'inizio, con l'usuale – finto – libro con immagini che viene commentato dalla voce over. Ineccepibile a livello visivo, anche se non originalissimo in ambito stilistico, Trolls è uno sfavillio di colori che, con la loro strabordante lucentezza, abbagliano lo sguardo degli spettatori. Ma Trolls è, anche, un tripudio di canzoni che lo trasformano in una cartoonesca versione sgargiante dei musical di Vincent Minnelli, come dimostrano i coreografici balletti antropomorfi dei Trolls. Ciò che vivamente manca in Trolls, è quel "terrorismo" narrativo e visivo presente in altri cartoni animati del nuovo millennio, come ad esempio sanno fare gli autori della Pixar. Oppure manca quel raffinato classicismo presente nelle migliori opere della Disney, che sapevano narrare, con giuste dosi di miele, storie di amori e felicità. La Dreamworks vuole giocare su un terreno facile, senza arrischiarsi in un flop, quindi produce un prodotto che possa completamente piacere a una fascia d'età pre-adolescenziale.
(La recensione del film "
Trolls" è di
Roberto Baldassarre)
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