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Tra cinque minuti in scena recensione] - Quando un attore si avvicina all'affascinante mondo della regia, possono verificarsi due cose: o l'esperimento si tramuta in un disastroso pastrocchio anonimo in cui sono ben visibili gli aiuti dei suoi più esperti collaboratori, oppure il prodotto può dimostrarsi sorprendentemente all'altezza della situazione. "Razzabastarda", l'esordio alla regia cinematografica di Alessandro Gassman, non appartiene certamente al primo caso ma, in tutta onestà, non può pienamente ascriversi neanche al secondo. Liberamente ispirato all'opera teatrale "Cuba & His Teddy Bear" di Reinaldo Povod (di cui Gassman ha curato la regia per ben tre stagioni), il film è stato adattato per il grande schermo da Vittorio Moroni e presentato allo scorso Festival del Film di Roma, dove ha ricevuto un'ottima accoglienza. Il merito va, senza dubbio, alla notevole ricerca visiva frutto della mente del direttore della fotografia Federico Schlatter, che stupisce se contestualizzata nell'orizzonte della cinematografia italiana, piuttosto restia alla sperimentazione. Le inquadrature ricercate e insolite e il bianco e nero fortemente contrastato portano immediatamente a pensare a un "Romanzo Criminale" con la fotografia di "Sin City" (c'è anche Michele Placido nel cast), in seguito appare chiaro che l'intento di Gassman sia ben diverso dal voler raccontare una semplice storia di criminalità e violenza. Il regista fa infatti parte di quel filone di artisti impegnati nel sociale (è da anni sostenitore di Amnesty International), convinti che l'arte possa ancora influenzare il pubblico, spingerlo alla riflessione, guidarlo, istruirlo. Coerentemente all'opera teatrale da cui è tratto, lo scopo dichiarato del film è quello di lasciare nello spettatore un segno indelebile anche dopo la sua fruizione, di portarlo a riflettere su un argomento che, secondo il regista, non gode in Italia della giusta attenzione. La storia è quella di Roman, un romeno immigrato in Italia da circa trent'anni, immischiato in un losco giro di droga e malavita, che tenta di garantire al proprio figlio Nicu un futuro migliore. Tuttavia il giovane Nicu sembra restìo a voler desiderare una realtà diversa da quella in cui si è trovato, suo malgrado, a vivere, e si vedrà costretto a seguire ineluttabilmente una strada che, per quelli come lui, sembra essere l'unica possibile. L'impegno e la sensibilità di Gassman sono ben visibili e certamente ammirevoli: la volontà è quella di trattare un argomento "scomodo", una realtà che accomuna sì molti immigrati, ma che poi non è così diversa da quella degli abitanti di molte periferie italiane (il film è stato girato a Latina), con la ovvia e un po' banale conclusione che, prendendo in prestito le parole di Einstein, esiste una sola razza, quella umana. Tuttavia, realizzare un film che concili una trattazione esaustiva di argomenti sociali con gli stilemi e le modalità narrative del cinema (chiaramente differenti da quelli teatrali) ha i suoi rischi, soprattutto se tratto da una pièce, e Gassman sembra non riuscire a evitarli del tutto: si veda la recitazione, a volte troppo esasperata, che rende gli attori spesso surreali e macchiettistici (come l'irriconoscibile Nadia Rinaldi nel ruolo della madre che ha perso la figlia morta di overdose). Si veda la trama, a tratti inesistente e desiderosa di concedersi delle pause dalla durata eccessiva, che non fanno altro che rallentare una storia che coinvolge sì, ma solo in parte. Si veda anche il messaggio, che appare oscurato da quel bianco e nero così esasperato e materico, che concentra tutta l'attenzione su di sé e sugli attori, dimenticando di essere un mero strumento espressivo. "Razzabastarda" è, in sintesi, un film maturo, impegnato, dall'ammirevole e onesta volontà di riflessione sociale che a tratti dimentica, però, quale sia il mezzo al quale si affida per far sì che il suo messaggio colpisca con la debita forza.
(La recensione del film "
Tra cinque minuti in scena" è di
Paolo Ottomano)
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