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Tonya recensione] - La domanda è: può una scaricatrice di porto pattinare sul ghiaccio? Può una borgatara dai modi spicci, che sbraita, impreca, prende a male parole i giudici, beve, mangia e fuma, incarnare il simbolo di uno sport che è sinonimo di eleganza, leggerezza e aristocrazia? Sì, può, o meglio potrebbe, se possiede la potenza e la muscolarità esplosiva di Tonya Harding, la prima donna (americana, la prima in assoluto è stata in realtà la giapponese Midori Ito) a tentare e riuscire in una competizione ufficiale a compiere il famigerato triple axel (un salto comprensivo di tre avvitamenti e mezzo su se stessi!). Impresa che le valse il primo premio al campionato nazionale statunitense del 1991. Non può se alla fisicità esplosiva non si accompagna un cervello altrettanto sopraffino ed è questo purtroppo il caso di Tonya, protagonista del film omonimo diretto da Craig Gillespie, regista altalenante già di Lars e Fright night, tanto per capirci. Siamo nel 1994. Durante gli allenamenti in vista dei giochi olimpici di Lillehammer, quelli dei due ori della Di Centa, dell'oro della Compagnoni e dell'argento del Tomba nazionale, Nancy Kerrigan, compagna di squadra e rivale della Harding, viene aggredita da un tizio che le spacca un ginocchio, mettendone a rischio la partecipazione proprio alle Olimpiadi (per la cronaca: vi parteciperà arrivando seconda). Questo "l'incidente", come viene chiamato, per il quale verrà incriminata la stessa Harding, fulcro intorno cui gira l'intero film in un'escalation di idiozie e assurdità che se non sapessimo essere acclarate difficilmente potremmo loro credere. Ancora oggi non si è chiarito quanto peso ebbe Tonya Harding nella cosa (ne era solo al corrente? Ne prese parte? Fu l'ideatrice? Non ne sapeva niente?). Di certo responsabilità dirette le ebbero il suo manesco marito e l'improbabile guardia del corpo. Insomma, siamo dalle classiche parti in cui la realtà supera qualsiasi fantasia, con un tasso di stupidità umana a far muovere gli eventi paragonabile solo a quella narrata da Michael Bay in Pain and Gain di qualche anno fa. La struttura del biopic risulta tutto sommato abbastanza convenzionale, con le interviste ai (finti) protagonisti (basate sulle interviste reali) ad inframmezzare la narrazione e con alcuni classici della musica leggera americana a sottolineare per contrasto (canzone allegra/situazione drammatica; canzone romantica/situazione grottesca) i passaggi più significativi (canzoni belle e un po' scontate come The passenger, Goodbye stranger, Dream a little dream of me, Spirit in the sky o The chain dei Flatwood Mac). La storia tuttavia è già di per sé talmente incredibile, astrusa, intimamente demenziale, che basta assecondarla senza aggiungerci altro, cercando soprattutto di non calcare la mano sul versante del bizzarro visto che ce n'è già a sufficienza. Maiuscole le interpretazioni sia di Margot Robbie sia di Allison Janney, quest'ultima premiata giustamente con l'oscar pur al servizio di un ruolo monocorde, al limite dell'ermetismo. Se vi state chiedendo se quella che pattina sia davvero Margot Robbie, la risposta è no, non è lei.
(La recensione del film "
Tonya" è di
Mirko Nottoli)
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