di E. Torsiello
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Tiramisù recensione] - Siamo così assuefatti dall'idea che il cinema italiano, e in particolar modo la commedia, si limiti oramai a battute ricche di doppi-sensi e maliziosità, di sceneggiature mediocre e intrecci dai risvolti prevedibili che quando escono film del calibro di Smetto quando voglio, o de Il Capitale umano, gridiamo addirittura al miracolo. Nel paese che diede i natali a Monicelli, Scola, Fellini, Troisi la mediocrità oggigiorno è divenuta la regola, Sibilia, Virzì, Johnson l'eccezione.
Fabio De Luigi e la sua opera prima da regista intitolata Tiramisù, nonostante superi le basse aspettative della vigilia, non rientra nella regola, ma non è nemmeno un'eccezione. Sta semplicemente nel mezzo; girovaga nel limbo che separa l'ennesima commediuccia italiana, dalla grande sorpresa. Si tratta di un film godibilissimo, leggero, che non appesantisce proprio come risulta essere al palato il dolce che dà il titolo all'opera: il tiramisù. Perché, alla fine, è proprio su questo delizioso dessert, più che sulla figura di Antonio, che si concentra l'intera opera. É in esso che si proietta l'ascesa sociale dell'imbranato e sfortunato rappresentante di materiale sanitario (interpretato dallo stesso De Luigi) e della sua apparente disfatta, non solo professionale, ma anche umana. È nel tiramisù, in quel concentrato di mascarpone, caffè e cacao, che si ritrova il deus ex machina capace di sconvolgere la vita di Antonio, di portarlo su su, fino ai vertici della compagnia sanitaria che rappresenta, di accompagnarlo nella sua rapida discesa e, infine, come in ogni buona commedia che si rispetti, di tirarlo nuovamente su. Per osmosi, il tiramisù è, a sua volta, la proiezione della moglie di Antonio, la iperpaziente (forse troppo se la poniamo in confronto al mondo reale) Aurora (Vittoria Puccini), l'unica donna in grado di stare a fianco al marito, di appoggiarlo, aiutarlo e riportarlo coi piedi per terra. Il tutto mentre prepara decine e decine di tiramisù.
Inutile dire che De Luigi ha davanti a sé ancora molta strada da fare nelle vesti di regista. Ristagna in questo film un deficit di esperienza che lo ha portato a caratterizzare al limite della sufficienza personaggi e situazioni che potevano essere sviluppate meglio. Una tra tutte la debolezza maschile e il labile confine che separa il tradimento dalla fedeltà coniugale. Tutto ciò è stato compiuto, magari in maniera del tutto innocente e inconsapevole da De Luigi, per concentrare sul suo personaggio l'intera attenzione spettatoriale e diegetica. Il punto di vista della storia è solo quello di Antonio Moscati, del protagonista; i restanti personaggi fanno semplicemente da spalla, da comparse che si limitano a entrare in scena per pronunciare le loro battute, senza quindi sconvolgere l'intreccio, apportandovi alcunché di personale. È il personaggio di De Luigi (e insieme a lui, quello del tiramisù) a fare da carro trainante all'opera, caricandosi di tutti i ruoli diegetici immaginabili e possibili, da quello del protagonista, a quello dell'aiutante, fino a quello di antagonista di se stesso. Eppure non è questo il vero problema di Tiramisù; la vera pecca del film è forse la presenza del personaggio di Franco e del suo interprete, Angelo Duro. Al di là di quanto tale personaggio risulti più o meno antipatico (immagino sia stato concepito proprio per tediare lo spettatore, mettendo a dura prova i propri nervi) è proprio il modo con cui Duro ha dato vita al personaggio che risulta del tutto fastidioso. Manca di espressività, di carattere interpretativo; le battute vengono pronunciate in maniera meccanica e quasi forzata. Insomma Duro nelle vesti di Franco è stato un vero e proprio disastro. Il che è un peccato se vediamo questo personaggio sotto l'ottica del giovane cognato capace di dispendere saggi consigli a quello più anziano, riuscendo a tirarlo fuori da impasse professionali a cui lui da solo non sarebbe uscito.
Ovviamente Tiramisù non si presenta come un capolavoro e non ha nemmeno la pretesa di esserlo. È un tipico film da famiglie, si lascia godere in maniera goliardica facendo spesso sorridere il proprio pubblico (ripeto sorridere, non ridere) rafforzato da quella verve fanciullesca che ben si adatta all'indole da eterno bambino di De Luigi. Dietro qualche scene si cela perfino del poetico e l'atmosfera apparentemente sospesa che fa vivere i propri personaggi in una bolla di sapone lontana dalla realtà non deve essere a mio parere un elemento da condannare, bensì da far collegare a quella speranza un po' utopistica e infantile che si diceva poco sopra, dove il bene vince sul male e sul mondo corrotto di oggi e tutto può tornare alla normalità grazie anche solo a un dolce come il tiramisù.
(La recensione del film "
Tiramisù" è di
Elisa Torsiello)
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