di R. Baldassarre
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The Walk recensione] - Era il 7 agosto 1974 quando l'allora giovane Philippe Petit poté a realizzare il suo sogno: riuscire a camminare sospeso a oltre 415 metri, su un cavo metallico spesso solamente tre centimetri, e solcare l'enorme porzione di cielo che separava le due Torri gemelle, che erano appena state erette. Questo – folle – desiderio non era semplicemente una sfida verso se stesso, ma la sua fantasiosa rappresentazione del sogno americano. Anche se fu clandestina e violò la legge, la titanica impresa gli fece ottenere la cittadinanza americana, con relativa fama e successo (a perfect rapresentacion of American Dream!). Una storia di oltre quarant'anni fa ma che ancora emoziona, sia per l'impossibile sfida vinta, e sia l'adolescenziale caparbietà di Petit. La sua fantasmagorica impresa fu già ricordata cinematograficamente con il documentario Man on Wire – Un uomo tra le torri di James Marsh, oltre che nel cortometraggio High Wire di Sandi Sissel, del 1984, e adesso The Walk torna a "rievocare" quella sospesa camminata. Anche se Man on Wire era un documentario, con qualche scena fiction girata ad hoc, la pellicola utilizzava la struttura del Caper-Movie, proprio perché si addiceva alla pazza realizzazione di quell'impresa, e questa formula viene riutilizzata anche per The Walk, che è invece cinema al 100%. Dopotutto The Walk rappresenta due tipologie di funambolismi spettacolari, che sempre ammaliano lo sguardo degli spettatori. Il circo e i suoi spettacoli, alla fine, sono la preistoria del cinematografo. A conti fatti il circo di cosa era composto? Di una grande pista su cui si alternavano diversi generi circensi (come sugli schermi dei cinema) e di una platea rapita, come nelle sale odierne. Philippe Petit era il grande attore, e il cavo d'acciaio il suo palco, e il suo spettacolo potrebbe essere definito un action con forti picchi di tensione. The Walk, come già fece nel suo documentario James Marsh, si concentra maggiormente non sui tesissimi quarantacinque minuti dell'impresa, ma su tutta la meticolosa preparazione dell'impresa, oltre che a un veloce e simpatico riepilogo della vita parigina di Petit. Come già scritto, The Walk è una rievocazione, proprio perché prende totalmente la strada della finzione, portando il racconto sui toni pastello di una fiaba. La sceneggiatura di Robert Zemeckis e Christopher Brown fa leva proprio su una rievocazione che potrebbe ricominciare con il classico "C'era una volta un ragazzo che… ecc.". E questa scelta narrativa esplode, sullo schermo, attraverso l'aspetto visivo, in cui tutto, dalla fotografia al montaggio, passando per l'interpretazione, è spinto verso il puro parossismo favolistico. Una scelta stilistica che rimembra a volte la fiaba cinematografica Hugo Cabret, a cui il rimando cinephile può essere anche la presenza di Ben Kingsley, che nella pellicola di Martin Scorsese interpretava l'anziano funambolo George Melies, e qui interpreta il vecchio – funambolico – Papa Rudy. Poc'anzi, si era parlato di Caper-Movie (traducibile come film del colpo grosso) e The Walk è una perfetta variazione iper colorata di questo sotto genere. È lo stesso Petit che chiama la minuziosa preparazione definendola "Il colpo". Nello svolgimento sembra veramente di assistere a u'attenta e pericolosa preparazione di una rapina a un caveau. Quello che bisogna espugnare non sono soldi o lingotti, ma sono i luccicanti attici del World Trade Center; un "inestimabile tesoro" che corrisponde a un'eterna glorificazione e ricchezza (interiore), e tutto questo "furto" è raccontato con toni da commedia. L'improvvisata banda (di ladri) è un manipolo scalcinato di figure raccattate sulla strada da Petit, e i commenti evocativi dello stesso Petit penzolano in una dimensione impalpabile (lui ci parla sospeso nell'aria, con un fondale puramente finto). Ma, inoltre, tutta questa minuziosa preparazione può anche essere vista come una fuga da un carcere di massima sicurezza. L'impresa di Petit è una fuga gravitazionale; un andare oltre il mondo palpabile. La sospensione supina in cui si adagia Petit è la rappresentazione massima di questa fuga dal mondo logico e maledettamente gravitazionale. Eppure… The Walk, è anche (o forse?) un omaggio alle Twin Towers. Probabilmente nel cinema post 11 settembre, questo è, al momento l'omaggio più sentito, più viscerale. La rievocazione dell'impresa di Petit è anche la commemorazione delle due torri, dapprima considerate brutte costruzioni edilizie (sembrano due immensi schedari) e poi apprezzati, anche a livello artistico. Il fade away finale, dopo le emozionanti ultime battute di Petit (mi avevano concesso un free pass per i tetti del World Trade Center per sempre) è una cinematografica chiusura di sentimentale addio. Si può, probabilmente, criticare The Walk sotto certi aspetti narrativi, eppure si guarda, per tutta la sua durata, con perigliosa attenzione e tensione. The Walk, aiutato da un 3D che espande visivamente quei momenti, è un ritorno a quel cinema emozionale circense che avvince. Presumibilmente solamente per quei 123 minuti, eppure in quel lasso – sostanzioso – di tempo si rimane rapiti, come fanciulli, da quel funambolismo, cinematografico e favolistico, di quella folle impresa artistica.
(La recensione del film "
The Walk" è di
Roberto Baldassarre)
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