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The Visit recensione] - Da che mondo è mondo,ovvero da Il sesto senso in poi, di fronte ad un film di M.N. Shymalan le probabilità di assistere ad un capolavoro o ad un'emerita vaccata sono le stesse. Il crinale che separa i due estremi non è mai stato così indistinto. Così è anche per The visit. Lontani i fasti degli esordi, causa progressiva parabola discendente culminata nel flop de L'ultimo dominatore dell'aria (lì il dubbio tra vaccata o capolavoro non si pone), oggi Shyamalan è costretto a girare a budget ridotti (5 milioni di dollari stanziati dalla Blumhouse di Jason Blum, colui che sta dietro a praticamente tutto l'horror contemporaneo, da Paranormal activity a Insidious a Sinister a Anarchia). Come per Devil, The visit possiede l'aspetto casereccio di una produzione televisiva: attori sconosciuti, location esistenti, nessun effetto speciale. Shyamalan ha una sua dignità e sa che le cose o si fanno bene o non si fanno, inutile cercare di scimiottare i grandi quando non si hanno i mezzi, quindi fa di necessità virtù, ricorre al logoro espediente alla blair witch project del filmino amatoriale in soggettiva e non potendo usufruire di CGI all'avanguardia, affida la paura alla concretezza del reale, ovvero pannoloni sporchi di merda e vecchie sciroccate che girano nude nel cuore della notte graffiando i muri. E siccome ci sa fare, come ha dimostrato da Unbreakable a The village, ci regala un inseguimento carponi sotto la casa e un finale aberrante di pura follia che fanno venire la pelle d'oca pur senza che si veda scorrere una goccia di sangue. La presenza del film nel film, della telecamera a mano che si fa metafora della visione cinematografica, già ci induce a pensare che niente di quello che stiamo guardando è come appare. Prigioniero di quello che è diventato il suo marchio di fabbrica, anche The visit vive del colpo di scena che ribalta la prospettiva di 180° e che puntuale arriva nel sottofinale: è da lì, dal fondo, che Shyamalan parte, procedendo poi a ritroso, nella costruzione del film, ma procedendo a ritroso gli capita di dover forzare un po' la mano, di dover ricorrere a stratagemmi ingannevoli, di dover deformare le situazioni e tirarle talvolta per i capelli, per fare sì che i pezzi, almeno all'apparenza, combacino. E pur aspettandocelo il colpo di scena sortisce il suo effetto. Potrà anche essere discutibile, menzognero, vagamente cialtrone, ma bisogna dar atto a Shyamalan che il suo è un cinema di idee, a volte anche di una sola idea ma comunque idea, e che la sua resta comunque una voce originale e fuori dal coro che, anche negli esiti più di genere, come in questa versione moderna della favola di Hansel e Gretel, sa assumere tratti poetici ed esistenziali che eccedono i limiti fisici del semplice racconto per rivolgersi all'esperienza di ognuno di noi.
(La recensione del film "
The Visit" è di
Mirko Nottoli)
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